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domenica 6 novembre 2022

BRITANNIC

1155_BRITANNIC . Regno Unito, Stati Uniti 2000;  Regia di Brian Trenchard-Smith.

Ci sono poche cose che, anche e soprattutto al cinema, hanno fascino come l’affondamento di un transatlantico. Ovviamente la realizzazione di Titanic di James Cameron (1997) è lì a dimostrarlo; ma va detto che quello con Kate Winslet e Leonardo DiCaprio è probabilmente un capolavoro ineguagliabile, per maestria dell’autore e budget impiegato e non può e non deve divenire uno scomodo termine di paragone. Titanic è la prova concreta di cosa si possa fare quando tutto gira per il verso giusto: alla maestosità della storia e della nave, si aggiunge quella altrettanto grandiosa di una superba ricostruzione filmica. Qui cominciano i primi dubbi: è quindi una sorta di impegno, il confrontarsi in modo adeguato con testi così mastodontici? O avrebbe comunque senso, per fare un esempio, fare una storia minimalista in un simile contesto? In questo caso, nel Britannic di Brian Trenchard-Smith non è certo la frugalità della trama a porre il dilemma, ma una certa povertà della messa in scena. Certo, la Computer Grafica aiuta tanto, ha aiutato anche il film di Cameron, se è per quello, ma anche per la ricostruzione in digitale delle immagini, alla fine della fiera, è questione di budget. Per fare qualcosa di credibile con la CGI occorrono tempo e lavoro, ovvero un sacco di soldi che, evidentemente, i produttori di Britannic non avevano. E di perplessità della stessa matrice di queste incertezze è intriso un film che, come detto nel citato esempio, già portava in nuce qualche dubbio sull’opportunità di avventurarsi su questi terreni. Il Britannic, un transatlantico gemello al Titanic, fu affondato durante la Prima Guerra Mondiale, nel 1916. 

C’era quindi un feroce conflitto in corso, con alcuni elementi non ancora del tutto chiariti sia nel computo generale che nello specifico della fine del transatlantico in questione. Innanzitutto va detto che l’eco della propaganda angloamericana è ancora oggi nell’aria e, quando si parla degli affondamenti delle navi civili da parte degli U-Boots tedeschi, ci si dimentica troppo spesso di ricordare che la Germania era tenuta sotto embargo dalla Royal Navy. Questa situazione, se metteva in difficoltà la capacità bellica tedesca, lo faceva solo dopo aver affamato la popolazione civile. La pratica piratesca dei sommergibili tedeschi era quindi certamente odiosa ma era una strategia che cercava di render pan per focaccia al nemico nell’unico modo che era praticabile per la Kaiserliche Marine. 

Sull’opportunità dell’abitudine dei britannici di far viaggiare truppe militari e armamenti sulle più disparate imbarcazioni per cercare di evitare gli U-Boots è inutile disquisire: è evidente che fu una pratica utilizzata in quanto era una manovra che in parte servì ad aggirare il problema. Se ci fossero poi, e qui entriamo nello specifico della storia raccontata nel film, armi o munizioni sul Britannic è un dettaglio secondario, in quanto ormai probabilmente si era perso il senso del limite, che è un po’ la caratteristica della Grande Guerra. Del resto una tesi accreditata è che il transatlantico urtò una mina e il ricorso alle mine non può avere alcuna giustificazione, diciamo così morale, visto che erano trappole in cui poteva incappare qualunque scafo. Come detto, quello del primo conflitto mondiale è un terreno infido e ancora di più lo fu la guerra sul mare, anche per via di alcune leggi di cavalleria che vigevano in questo elemento, come il soccorso ai naufraghi o altre pratiche in aperto contrasto con lo spirito bellico che si andava sviluppando durante quella aspra contesa. Questo quadro, tutto particolare, viene in mente guardando Britannic perché nel 2000, anno di trasmissione del film televisivo, è difficile accettare un testo pregno di tanti errori e imprecisioni storiche. 

D’accordo, il racconto narrato in sé è gradevole ma già, come detto, la realizzazione visiva non è propriamente all’altezza di un simile scenario, l’affondamento di un transatlantico; va beh, per scusare questo aspetto possiamo notare come in alcuni frangenti l’opera di Trenchard-Smith ricordi un po’ certi film di animazione e, in modo analogo a quello che accade con queste spesso coinvolgenti produzioni, possiamo a goderci le adrenaliniche scene conclusive di Britannic. Ma si fatica a sorvolare sulle tante licenze poetiche poco opportune del racconto: dall’anacronistica citazione dei Black and Tans, al coinvolgimento di una nave da guerra chiamata HMS Victoria del tutto inventata, alle due esplosioni che causarono l’affondamento quando invece ne fu registrata solo una, a dettagli più tecnici, comunque rilevanti, come l’impossibilità per un U-Boot in immersione di tampinare per lunghe tratte un transatlantico. Queste scelte sembrano dettate da sciatteria, da mancanza di cura nel realizzare il soggetto: se si verifica che un sommergibile non può reggere la velocità del Britannic, bisogna cambiare il copione e trovare uno stratagemma che renda possibile lo sviluppo che si cerca. Il cinema, pur essendo l’arte della finzione, deve stare attento a non veicolare il falso, che è completamente una cosa diversa. Soprattutto quando le didascalie proclamano prima e dopo il film i rimandi con la realtà. Poi, sugli atteggiamenti dei personaggi, se questi possano essere credibili nel 1916 e non sembrino invece assai posteriori, si potrebbe effettivamente lasciar correre, anche se non aiutano neanche loro. Nel cast, oltre a Amanda Ryan nei panni della protagonista (la spia inglese Vera Campbell) e Edward Atterton (Reynold, l’agente segreto tedesco), c’è anche Jacqueline Blisset (Lady Lewis) che, in quanto a carisma, si mangia non solo il resto del cast ma l’intero film, transatlantico incluso.  

Jacqueline Bisset 





 Amanda Ryan 



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