1002_TOTO' A PARIGI . Italia, Francia, 1958; Regia di Camillo Mastrocinque.
L’aspetto più originale di Totò a Parigi, film del 1958 di Camillo Mastrocinque, è che la
natura dell’opera cambia, agli occhi dello spettatore, più volte. In apparenza,
e volendo essere onesti anche nella più consistente sostanza, il film verte
sulla verve di Totò, ben supportato dalle affascinanti grazie di Sylvia
Koscina. L’attore napoletano è in gran forma, e qui mette a referto anche il
memorabile passaggio musicale Miss mia
cara miss;
pare che il barone in questione soffra di una sorta di amnesie schizofreniche e ogni tanto pensi di essere uno straccione che vive di stenti in riva al Tevere. Questo farebbe combaciare alcuni tasselli della trama, magari non tutti, come la zingara d’inizio racconto, ma comunque in quantità sufficiente a garantire una visione non infastidita dal pressapochismo. Ma l’intreccio si dipana ulteriormente e rivela un complotto che, questo si, grosso modo rimette tutti i dettagli al loro posto. A questo punto, anche quelli poco spiegati, come i motivi che costringono Pierre (Paul Guers) a prestarsi al gioco del barone, sono accettabilissimi anche nel loro rimanere un po’ oscuri, non essendo poi cruciali nello sviluppo del racconto. Questo lavoro metalinguistico di Mastrocinque, che sembra giocare con lo spettatore anche a proposito della struttura narrativa del suo film, coglie anche la sponda del passaggio in cui lo squattrinato napoletano è chiamato Totò; per un attimo sembra che ci si riferisca all’attore e non al personaggio del racconto. In chiusura, c’è l’ultimo scherzo del regista: dopo che tutti gli equivoci, dentro e fuori la trama del film, sono stati spiegati, rivediamo Totò che si sveglia sulla casa sull’albero, proprio come all’inizio. Per un attimo sembra che possa essere stato tutto un sogno, uno stratagemma piuttosto grossolano, usato in genere nella narrativa un po’ infantile per giustificare le vicende più strambe. Poi dalla finestrella non compare il cupolone romano ma la svettante Tour Eiffel, e anche questo gancio metalinguistico si dissolve. A quel punto Totò scende dall’albero e ripete la stessa scena dell’inizio, stavolta con un gendarme in luogo del carabiniere: Totò è sempre Totò, a qualunque latitudine e con qualunque forma narrativa.
Sylva Koscina
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