1735_MAGIA NUDA , Italia 1975. Regia di Angelo e Alfredo Castiglioni, Guido Gerrasio
La collaborazione di Moravia al testo del commento fuoricampo introdusse una perturbazione che ruppe un equilibrio che, fin lì, aveva mirabilmente resistito. Era comprensibile che ci fosse una sorta di gelosia professionale, tra i vari autori: in fondo i Castiglioni e Pellini avevano sudato bel oltre le classiche sette camicie, correndo rischi di varia natura, per spingersi nei più remoti e sperduti angoli dell’Africa Nera. Di contro, Guerrasio, nel caso della sua prima collaborazione, aveva parlato di sei mesi di lavoro al montaggio, per cavarne qualcosa di commerciabile. Insomma, stabilire la paternità di prodotti tanto anomali e peculiari non era semplice e, in effetti, nelle recensioni o negli articoli che vi fanno riferimento, a volte troviamo citati come registi i gemelli Castiglioni, altre volte Guerrasio, altre volte ancora tutte e tre e, in qualche ulteriore esempio, viene accreditato perfino Pellini. Lo spirito di reciproca collaborazione permetteva di mettere in secondo piano i personalismi. Guerrasio, descriveva così la formula segreta: “Ci siamo autofinanziati, il nostro è un nuovo tipo di cooperativa che funziona solo se gli spettatori sono d’accordo con gli autori”. [P. Per., Che colpo il poker di Africa segreta! Incontro con i quattro realizzatori: Guerrasio, i gemelli Castiglioni e Oreste Pellini, Stampa Sera, anno 101, n. 285, sabato 13, domenica 14, dicembre 1969, pagina 8]. E che gli autori siano perfettamente in sintonia tra di loro, sembra sottintendere l’affermazione di Guerrasio. Il coinvolgimento di Moravia, che nominalmente sostituì appunto Guerrasio nella stesura del commento, probabilmente ebbe una sua influenza nel rompere questo equilibrio, e per il cineasta milanese Magia nuda fu l’ultima collaborazione coi Castiglioni. Interpellata in proposito, sua moglie Mimi Ferrari ebbe parole abbastanza decise nel descrivere come maturò la cosa, oltre a rivendicare a nome di suo marito la sostanziale paternità del testo recitato ancora una volta da Riccardo Cucciola. [Conversazione con Mimi Ferrari da Fabrizio Fogliato e Fabio Francione, Jacopetti Files, Milano-Udine, Mimesis Cinema, 2016, pagine 204 e 205]. Più pacata la ricostruzione di Angelo Castiglioni: “Che Guerrasio abbia partecipato alla stesura del testo è indubbio. Tuttavia, in questi lavori, il risultato finale è sempre frutto della collaborazione di tutti. Ognuno ci mette del suo, poi Moravia ha fatto anche la revisione finale del testo. Ha elaborato la parte giornalistica, e persino poetica del commento al film”. [Fabrizio Fogliato e Fabio Francione, Intervista a Angelo e Alfredo Castiglioni, Jacopetti Files, Milano-Udine, Mimesis Cinema, 2016, pagina 199]. Se l’innesto di Moravia agitò un po’ le acque, all’interno della «squadra», i risultati concreti non ebbero poi questo riscontro: il commento di Magia nuda non è molto diverso da Africa segreta o Africa ama. Per quanto, è proprio nella traccia audio che possiamo cogliere il più significativo punto messo a segno dal nuovo lavoro dei fratelli Castiglioni. Se, nel complesso, le musiche di Francesco Lavagnino fanno il loro lavoro con professionalità, l’incipit coi titoli di testa del film è addirittura stupefacente: una breve ripresa aerea, che ricorda certe sequenze di jacopettiana memoria, poi la sirena navale annuncia l’inquadratura da terra di una larga chiatta fluviale; a questo punto i credits arrivano nel classico giallo intenso –un cliché dei Mondo movie– mentre le immagini dall’alto e quelle dal molo si alternano. Una stupenda musica si fa strada: è Soleado [di Ciro Dammicco, in arte Zacar, Dario e Aberto Baldan Bembo, Maurizio Seymandi, 1974], primo singolo dei Daniel Sentacruz Ensemble che rilancia l’idea di colonna sonora di Riz Ortolani per Mondo Cane o Africa addio, dove ad un testo filmico forte e disturbante era associato una musica eccezionalmente soave. Stando a quanto si può apprendere da un’intervista pubblicata sulla rivista Nuovo Sound, questo splendido brano non fu realizzato «ad hoc» per il film, ma fu semplicemente utilizzato una volta che era già stato registrato. A titolo di ulteriore curiosità si può annotare che, in principio, Soleado fosse stato concepito –grazie ad un’intuizione di Vince Tempera– arrangiando un precedente pezzo di Dammico, Le rose blu, e fosse destinato a finire nel lato B di un nuovo disco in vinile. <da http://Daniel Sentacruz Ensemble 1976 (sopi.it), e https://secondhandsongs.com/work/111539 visitati l’ultima volta il 22 marzo 2024>. L’abbinamento tra la celestiale melodia e le immagini iniziali di Magia nuda, crea un contrasto da pelle d’oca alta un centimetro. Perché non c’è solo il contrasto, tra l’atmosfera idilliaca suggerita dal suono e la prosaicità delle condizioni in cui si presentano i viaggiatori man mano che la chiatta giunge a riva: questo contrasto è trattenuto, come tenuto in sospensione, dal montaggio che intercala, a queste scene, visuali panoramiche dall’areo che, per loro natura, mantengono sempre un certo distacco, da qui la «sospensione», con la nuda realtà terrena. Una volta istaurato questo mistico clima narrativo, la cinepresa può concentrarsi sui malconci passeggeri che scendono sul molo, insistendo anche su un improvvisato controllore di bordo che, ad un certo punto, sembra perfino accorgersi di essere ripreso e manda a quel paese i nostri operatori. Ma nemmeno il suo scocciato sbracciarsi riesce ad incrinare l’atmosfera, anzi, è un ulteriore fattore che alimenta il citato contrasto. In seguito, Riz Ortolani rilancerà ulteriormente in questa sorta di gara nella capacità di abbinare musica struggente ad immagini scioccanti, con lo splendido tema per Cannibal Holocaust [regia di Ruggero Deodato, 1980]. Intanto, in Magia nuda, l’arrivo nella savana a bordo di un fuoristrada, ci riporta definitivamente con i piedi per terra. E sarà terra africana, ma, nel corso del documentario, ci si avventurerà anche in Amazzonia, nelle Filippine, e in altri paesi dell’estremo oriente. Con qualche ritocco alla censura, il film era riuscito ad approdare nelle sale con l’inevitabile divieto ai 18 anni ma, in questa occasione, non erano subentrate noie giudiziarie. La critica, in qualche caso esplicitamente influenzata dalla firma di Moravia sul commento, era stata comunque meno severa rispetto al precedente Africa ama. In realtà le recensioni hanno una duplice matrice, in entrambi i casi abbastanza netta: quelle positive, per salvare il film, devono sottolinearne la validità etnografica del lavoro dei Castiglioni; quelle negative lo stroncano, senza troppi giri di parole, per i contenuti scabrosi, cogliendovi un intento unicamente speculativo. Ecco un commento che appartiene alla prima categoria, positivo con «riserva»: “Certo non ogni capitolo di questo «reportage» è rigorosamente chiuso agli allettamenti del «pittoresco», sì che le servitù commerciali del «genere» ogni tanto non vi si facciano sentire. Ma nessuno digrada mai a mezzo di adescamento, o indugia sulla violenza, sul sesso o generalmente sull’«irrazionale», per il gusto di comunicare al pubblico sensazioni forti.
In ogni sua parte (anche in quella cinematograficamente un po’ scontata) il film si fa scrupolo di servire il vero, presentando storture, crudeltà e stranezze caratteristiche d’una società primitiva nella luce di un’interpretazione altrettanto umile quanto penetrante, che spogliando il concetto di «négritude» d’ogni ebbrezza estetizzante, gli restituisca (e qui il commento moraviano, affidato alla voce di Cucciolla, è determinante) il significato solenne e triste di una condizione storica”. [l.p. Primitivi e stregoneria, La Stampa, anno 109, numero 102, domenica 4 maggio 1975, pagina 8]. Di contro, le stroncature sono in genere più categoriche: “Il risultato dovrebbe essere «scientifico» ma non è così. Di cose strane ne vediamo molte in Magia nuda. I tagli delle ugole, le operazioni chirurgiche a mani nude, l’endocannibalismo (già illustrato in precedenti film), le flagellazioni rituali, gli esorcismi, le cure medico-animistiche; ma, soprattutto, vediamo sangue che scorre e curiosità esotiche (che rimangono tali, a livello di turismo «particolare») sul sesso, sulla verginità, sulla masturbazione, sulle cure del fallo e così via. Ancora una volta siamo non all’urto del documento puro ma allo «choc» dell’effettismo. Non un film per curiosi in senso sano delle abitudini «diverse», da incuneare nella nostra conoscenza dell’uomo, ma una sollecitazione per guardoni in poltrona, amanti delle sensazioni forti”. [e.c., Magia nuda, Giornale di Bergamo, giovedì 10 marzo 1975, pagina 8].
Magia nuda ci mette, in effetti, in seria difficoltà. Perlomeno, mette in difficoltà l’individuo che prova a farsi un’idea propria sempre e comunque, anche a costo di lasciare alcuni problemi irrisolti. Chi non è avvezzo a prendere soluzioni preconfezionate, dalle religioni, dalle dottrine ideologiche, dalle logiche di partito o fazione, può facilmente rimanere basito di fronte alla nonchalance con cui i Castiglioni riprendono alcuni riti magici, apparentemente inspiegabili, e li sottopongono agli spettatori tramite la visione sullo schermo. Certo, in questo caso è il rispetto per la altrui tradizioni, culture e religioni a frenare l’istintiva curiosità che avrà necessariamente assalito anche i cineasti mentre riprendevano certi stupefacenti riti. Il commento, però, avrebbe potuto –e forse dovuto– fornire qualche elemento in più. Perché, stando alle immagini, siamo stati davvero di fronte ad eventi di pura magia, verrebbe quasi da gridare al miracolo, quando i guaritori filippini praticano la loro «medicina». Non si tratta di sottovalutare o peggio, denigrare, questi fenomeni: ma l’occhio scientifico, si presuppone anche quello etnografico, deve essere scettico quasi per definizione.
Far passare questi riti alla stessa stregua di quelli erotici o venatori è una scelta che lascia un po’ perplessi. Se le scene dei chirurghi filippini potrebbero essere semplicemente frutto di abili movimenti da prestigiatore, sembrano più realistiche quelle in cui vengono estratti dagli occhi o dalle caviglie sorta di noduli viscidi e vischiosi. Il commento di Moravia lascia più stupefatti delle immagini: “Le energie che si irradiano dal guaritore e dallo sciamano, potrebbero forse essere onde ad altra frequenza, le cosiddette emanazioni kirlian che appartengono alla sfera dei fenomeni paranormali. Queste onde, ignorate in occidente, sono, a quanto pare, oggetto di studi nell’Unione Sovietica con lo scopo di conseguire, alla maniera dei filippini, l’ablazione degli organi”. Il riferimento alle «emanazioni kirlian», da parte di una persona di cultura come Moravia lascia disorientati: per ottenere tale effetto, lo scienziato russo Semën Davidovič Kirlian applicava una forte scarica elettrica (ad alto voltaggio e ad alta frequenza) agli elementi che andava poi a fotografare. Quella sorta di linea luminosa azzurra che li circondava fu, per un certo periodo, scambiata per l’aurea vitale ma si trattava, appunto, dell’effetto kirlian, un fenomeno fisico. In assenza di un qualcosa che generi una energia elettrica, ad alto voltaggio e ad alta frequenza, risulta difficile comprendere come si possa tirare in ballo questo fenomeno. Spacciare per rispetto delle altrui credenze, culture e tradizioni, il tentativo di ammantare di fascino posticcio e truffaldino il documentario, è una sorta di autogol degli autori. Forse fu proprio la firma di Moravia, a far sorvolare su questa cosa, che sembra davvero un passaggio degno di una storiella di Topolino. Nel caso, che sembra assai ipotetico, che tali scene fossero reali, andavano assolutamente approfondite e questo, al contrario, sorvolare genericamente sulla cosa, non depone a favore della buona fede degli autori. Questi aspetti inficiano, onestamente, la riuscita complessiva del documentario, nonostante gli sforzi profusi dagli autori che hanno girovagato per il mondo nella loro ricerca etnografica. Purtroppo se si sceglie e si paventa un approccio scientifico, o quanto meno serio e rigoroso nella sostanza, non sono ammesse deroghe. Qui non si tratta delle concessioni allo spettacolo di cui i Castiglioni avevano già fatto ammissione, perché il passaggio è un po’ più sostanziale e concettuale. Se, nel mostrare determinate usanze, si mostrano scene di sesso e violenza –anche con lo scopo di rendere più commerciale il film– è un conto; si può discutere dell’opportunità o meno della cosa, ma si tratta, appunto, di scelte eventualmente opinabili. Se si trascura volutamente di approfondire scene quantomeno dubbie e ambigue, da un punto di vista scientifico, per alimentare il fascino misterioso del film, allora si finisce per rimpiangere il sensazionalismo alla Jacopetti.
Al fenomeno dei Mondo Movie, Quando la Città Dorme ha dedicato il secondo volume di studi attraverso il cinema: MONDO MOVIE, AUTOPSIA DI UN GENERE, AUTOPSIA DI PAESE
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