
Già aiuto-regista di Michelangelo Antonioni in un paio di occasioni e
assistente di Blasetti per Europa di notte, Luigi Vanzi venne incaricato
di dirigere un documentario che, sul modello del citato capostipite, portasse
sullo schermo gli spettacoli di varietà notturna, stavolta potendo spaziare per
tutto quanto il globo. Per presentare il film, lasciamo parola ad Alessandro
Blasetti, l’autore da cui aveva appunto avuto inizio il genere, seppure questi
avesse preso, in seguito, una deriva, a suo dire, fuorviata. Tuttavia, Il
mondo di notte, secondo il vecchio cineasta, non rientrava in questa
deleteria categoria. “(…) sono venuti fuori i due «Mondo di notte» (Il mondo
di notte, appunto, e Il mondo di notte numero 2, dell’anno
successivo, regia di Gianni Proia, NdA), che, in sostanza, conservano ancora
qualcosa di importante, molti documenti, molti artisti noti, e rappresentano
comunque un grosso materiale documentario su un certo modo di intendere il
teatro di Varietà, il quale pure ha diritto di cittadinanza”. Il commento di Blasetti è di un paio d’anni successivo all’uscita del
film di Vanzi, e c’è da credere che sia, quindi, anche abbastanza ponderato. Il
titolo del film, Il mondo di notte, è quanto mai esplicito e a nessuno,
probabilmente, venne in mente di dubitare della sua attendibilità. Se non fosse
che, in seguito, i Mondo movie diverranno famosi –per non dire sin da subito
famigerati– proprio per la capacità di porci costantemente in una condizione di
scetticismo nel considerarne la veridicità. Quando non passibile del “reato più
grave imputabile a un documentarista: la falsificazione dei documenti, la
contraffazione della realtà a scopi sensazionalistici”, come sentenzia a
proposito Morando Morandini nel suo citato dizionario.
È questo, infatti, il nodo cruciale del genere, sempre bistrattato dalla
critica e che, al contrario, può essere utile proprio per questa sua innata
ambiguità. Si potrebbe obiettare, comprensibilmente, che queste tematiche si
manifesteranno solo più tardi, e, nello specifico, con il vituperato Mondo
cane
e, invece, già Il mondo di notte ci mette più di una volta sull’avviso
in tal senso. Ma, innanzitutto, andiamo a vedere chi, accanto al regista Vanzi,
fu coinvolto nel progetto. Il mondo di notte, come del resto Europa di, notte, è una specie di collage di
segmenti filmati, e, quindi, è evidente l’importanza del montaggio: cruciale
sempre nel cinema, pur restando in controluce, in questo caso, è perfino messo
in bella vista. Considerato il buon lavoro svolto per il film di Blasetti, in
sala taglio venne confermato Marco Serandei, mentre alle musiche venne chiamato
il bravissimo Piero Piccioni, intuendo, sin da allora, l’importanza del
supporto sonoro per questo tipo di produzioni. Se la resa delle immagini di
Gábor Pogány in Europa di notte era stata
premiata ai Nastri d’Argento, la manifestazione romana ribadì l’anno successivo
di tenere in buona considerazione questi documentari notturni, selezionando Il
Mondo di notte tra i candidati per la miglior Fotografia a colori, opera
ancora di Pogány insieme a Tonino Delli Colli. Ma l’elemento che balza
maggiormente all’occhio, tra i vari collaboratori di Vanzi, è, manco a dirlo,
Gualtiero Jacopetti. Già cosceneggiatore e autore del commento nel film di
Blasetti, il giornalista e futuro regista toscano prese campo ne Il mondo di
notte. Di nuovo alla sceneggiatura, stavolta da solo, accreditato di un
fugace passaggio anche sullo schermo, è nel commento che Jacopetti cominciò a
mettere in moto le sue idee a proposito di documentari. Ironico, in qualche
caso anche troppo spregiudicato, il racconto preparato per accompagnare le
immagini lascia, in qualche passaggio, a dir poco esterrefatti. D’accordo, che
quelli “notturni” non fossero documentari alla Folco Quilici, si poteva anche
intuire, ma definire più volte la balena “pesce” è abbastanza sconcertante.
Jacopetti, ovviamente, sapeva che la balena è un mammifero e, in effetti, nel
commento è anche definita come tale –anzi, in un caso il narratore vi si
riferisce ancor più accuratamente come «cetaceo»– tuttavia la stessa «voce over»,
con malcelata superficialità, in un paio di occasioni compie il clamoroso
svarione. L’errore macroscopico ed evidente diverrà un cliché dei Mondo movie e
il fatto che queste imprecisioni siano tanto grossolane quanto lampanti, rivela
forse la volontà degli autori di metterli bene in luce. Si tratta di una sorta
di monito, probabilmente, a non fidarsi troppo di quello che vediamo e che,
soprattutto in un documentario, siamo portati a pensare sia vero e
indiscutibile. Nei Mondo movie, in ogni caso, si imparerà che quello che si vede sullo
schermo va sempre preso con le pinze. Anche ne Il mondo di notte, basta
un semplice approfondimento, per cogliere qualche situazione non proprio
lineare. Ma va dato atto a Jacopetti che spesso è lui stesso, in questo caso
con il suo commento fuori campo, a metterci la pulce nell’orecchio. Ad esempio,
Ricky Renée, presentata come stripper somigliante a Kim Novak, si esibisce in
un locale di Amburgo, città che apprendiamo essere famosa per aver per prima
portato sul palcoscenico le donne nell’austera Germania. In precedenza,
l’informato commento ci racconta come, per interpretare le fanciulle sui palchi
di cabaret e teatri tedeschi, si ricorresse a uomini in abiti femminili.
Intanto Ricky, che, ad onor del vero, si era presentata come una vegliarda
imbacuccata, ha sfoderato un personale che lascia a bocca aperta gli
spettatori, stupiti della sua trasformazione. Ma questo è ancora niente: quando
lo strip-tease è quasi completo –come l’archetipo di Blasetti, anche Il
mondo di notte non si spinge oltre il lecito– si scopre che Ricky Renée è
un female-impersonator, in pratica un uomo vestito da donna. Ricordando come
questo segmento narrativo del documentario intendesse celebrare Amburgo, la
prima città a fare a meno degli uomini en-travesti, allo spettatore può sorgere
lo scrupolo per un ulteriore controllo. E così, sul sito dedicato all’artista
Ricky Renée,
scopriamo che le foto dello spettacolo ne Il mondo di notte furono
girate a Cinecittà, a Roma, altro che Amburgo. Insomma, già alle radici
del genere, appare chiaro che coloro i quali definiranno “pseudo documentari” i
Mondo movie, non è che fossero andati troppo lontani dal vero. Tuttavia,
seppure ogni tanto il suo ironico commento possa anche risultare irritante o
superficiale, è innegabile che il lavoro di Jacopetti, il suo mischiare realtà
e invenzione, ha un suo fascino. Il fascino del cinema.