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domenica 2 luglio 2023

IL MERCENARIO

1304_IL MERCENARIO . Italia,1968; Regia di Sergio Corbucci.

Sergio Corbucci conosce molto bene gli spaghetti western ma, a volte, sembra avere un gusto eccessivamente provocatorio: la corrente nostrana dei film sulla frontiera americana si è presa delle licenze poetiche un po’ sopra le righe, è vero, ma ne Il mercenario in qualche passaggio sembrano perfino esagerate. Lo stratagemma narrativo con cui Paco Roman (Tony Musante) sfugge alla morte quand’era seppellito nella terra fino al collo è degno di un fumetto popolare degli anni 50 e lasciano un po’ basiti anche certe stramberie pretese (e accettate dai suoi compari) di Kowalski (Franco Nero). Il polacco, non contento di essere tenuto all’ombra di un telo mentre cavalca in pieno deserto, pretende perfino di fare una doccia per rinfrescarsi utilizzando l’acqua da bere delle borracce dei suoi compagni. Che non sono damerini qualunque ma terribili rivoluzionari messicani (in pratica banditi al soldo di Paco Roman). D’accordo, d’accordo, l’anima ludica degli spaghetti, nel 1968, è ormai esplicita e, anzi, proprio questa capacità di farla coesistere alla traccia avventurosa è una delle qualità migliori di Corbucci. Però il grande Jack Palance con un’assurda permanente – nella parte di Ricciolo, il cattivo della storia – è difficile da perdonare anche al regista romano! Il terzetto tipico della nostrana corrente western prevede così queste variazioni: il buono, Kowalski, è un po’ meno buono del solito e si diverte a fare l’esagerato; il brutto, Paco Roman, più che brutto è buffo ma si accorge di avere l’indole buona; il cattivo, Ricciolo, è sempre cattivo ma anche buffo con quell’improponibile pettinatura. I ruoli sono così un po’ mischiati rispetto ai modelli di Sergio Leone nei suoi capolavori ma si nota una maggiore deriva farsesca generale. Nel classico triello finale l’antieroe, il cosiddetto buono, si astiene assumendo il ruolo di arbitro, consolidando quella capacità di stare a cavallo tra gli schieramenti, dote che era già del primo personaggio senza nome di leoniana memoria. La ribalta eroica è quindi lasciata al messicano, il che va ad inserirsi nella vena politica di un altro Sergio dei western all’italiana, Sollima, che l’aveva ben esplorata con la sua trilogia dedicata agli spaghetti. In effetti Paco Ramon, in principio un semplice brigante, alla fine finisce per credere davvero nella rivoluzione, assurgendo a vero eroe positivo dell’opera. Il finale, con il riferimento ai sogni, mostra la natura pragmatica di Corbucci che non svaluta la figura del Kovalski di Franco Nero, ben sapendo che per il pubblico è comunque il personaggio maggiormente affascinante. Anche più di Columba, a cui Giovanna Ralli concede grazia e bellezza ma che rimane figura femminile scarsamente incisiva, come da tradizione di molti western all’italiana.







Giovanna Ralli 





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