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martedì 4 luglio 2023

I DUE INVINCIBILI

1305_I DUE INVINCIBILI (The Undefeated). Stati Uniti,1968; Regia di Andrew V. McLaglen.

L’attendibilità storica al cinema è sempre da considerare un optional, se c’è, bene, ma è meglio non pretenderla perché si rimarrebbe troppo spesso delusi; però, anche tenendo in mente questa avvertenza, ci sono cose che viste sullo schermo lasciano quantomeno perplessi. I due invincibili di Andrew V. McLaglen è un film western e, forse perché il tempo dell’epica dei classici del genere è ormai finito, prova a supportare la sua storia con molti elementi storici. Questi dettagli non è necessario che siano rigorosi, dal momento che è chiaro che non è un documentario: ma vedere ammantati di suggestiva nostalgia i confederati fa davvero troppo a pugni con quella che fu la loro realtà storica. D’accordo, non tutti i sudisti erano criminali, questo è ovvio, e anche un certo charme era nelle loro caratteristiche, ma la retorica celebrativa di McLaglen pare francamente fuori luogo per uno dei fenomeni politico/sociali meno edificanti dell’intera Storia dei tempi recenti. E’ una precisazione forse poco pertinente al film in se stesso, che è ovviamente un prodotto che non si prende la briga di dare valutazione oggettive dal punto di vista storico, ma la superficialità con cui viene troppo spesso coinvolta la causa confederata è intollerabile. In questo caso si vuol celebrale la rinascita dell’Unione, con la pacificazione tra nordisti e sudisti: a capo di un reparto di nordisti in congedo troviamo un attempato ma ancora solidissimo John Wayne, nei panni dell’ex colonnello John Henry Thomas; il suo rivale, il colonnello sudista James Langdon, interpretato da un aitante Rock Hudson, non vuole saperne che la guerra è finita ma decide di rifugiarsi in Messico pur di continuarla. 

Va detto che Hudson, provvisto per l’occasione di baffi e basettoni, non sfigura affatto a cospetto di Wayne, reggendo alla grande il confronto scenico, cosa che si è vista assai raramente quando il duca è sullo schermo. Alla fine di una serie di peripezie, i due gruppi di uomini si trovano a fare la stessa strada per motivi diversi, si arriverà all’inevitabile riunificazione, anche se l’evidente operazione celebrativa di McLaglen lascia più di una perplessità. I nordisti infatti vengono aiutati da un gruppo di Cherokee, ex scout durante la Guerra Civile (quella che da noi è conosciuta come Guerra di Secessione); tra questi, Blue Boy è addirittura figlio adottivo del colonnello Thomas e, per rincarare la dose, avrà poi una storia d’amore con la figlia del colonnello Langdon. E’ chiaro quindi che il regista ritiene gli indiani parte integrante della nazione americana che la riunione tra sudisti e nordisti celebra. E fin qui, niente di male, sia chiaro. 

Ma la cosa che stride è che, diversamente, gli schiavi di colore, che analogamente dovrebbero rappresentare la ben più cospicua componente afroamericana ne sono invece esclusi: quelli che lavoravano nella residenza Langdom vengono infatti abbandonati dai sudisti quando questi partono per il Messico. Non si tratta di una liberazione, almeno non quella mostrata nel film: qui il colonnello Langdon, sembra davvero un buon padrone, e gli ex-schiavi, sono affranti mentre vengono lasciati. Probabilmente il regista trascura questo aspetto, e cerca anzi di mostrare come i neri di casa Langdon fossero trattati bene, al punto che James lascia in eredità l’orologio di suo nonno al più anziano degli uomini di colore. 

Una sorta di passaggio di consegne in famiglia; ma a nessuno dei sudisti viene in mente di invitare queste persone ad unirsi, nonostante siano affrante e evidentemente spaesate. La deduzione che nasce quindi spontanea è che se gli indiani, forse per via della loro origine americana, vengano considerati parte della nazione, gli uomini di colore non sono invece nemmeno presi in considerazione. Sempre in tema celebrativo, la fratellanza dei nordamericani, di cui la scazzottata generale è quasi un suggello più che un’increspatura, ha solo qualche debolezza nei confronti degli indiani, in quanto l’interesse di Blue Boy per la figlia del colonnello Langdon, crea al cherokee più di qualche problema. Ma può essere che la solidarietà tra sudisti e nordisti sia forse usata da McLaglen per contrastare quella corrente che, nel tardo western, eleva spessissimo il Messico a nuova frontiera, a nuovo punto di interesse. In I due invincibili alla solidarietà americana riunita fa da contralto una completa divisione nel paese latinoamericano, invaso dalle truppe francesi dell’imperatore Massimiliano (di cui i due rappresentanti parlano simbolicamente due lingue diverse, francese e spagnolo) e percorso dai sanguinari moti rivoluzionari dei juaristi, che fucilavano e sequestravano beni con eccessivo zelo anche se in nome del popolo.
Questi aspetti dell’opera di McLaglen finiscono per indebolire quello che potrebbe essere un onesto film western, con due attori in buona forma, qualche comparsa di rilievo (Ben Johnson, anche se il suo soprannome, Barbetta non si può sentire), e una presenza femminile di rilievo. Se il personaggio di Wayne se la vedrà con la vedova Ann, interpretata dall’elegante Marion McCargo, mentre la prestanza giovanile di Hudson regala al colonnello sudista Margareth, una moglie dalla presenza scenica adeguata, ovvero Lee Meriwheter, celebrata regina dei concorsi di bellezza, tra cui Miss America 1955, già vista nelle seducenti vesti di Catwoman nel film Batman del 1966.




Lee Meriwether 





Marian McCargo 


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