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lunedì 25 ottobre 2021

SOLO DIO PERDONA

916_SOLO DIO PERDONA (Only God forgives); Francia, Danimarca, 2013; Regia di Nicolas Winding Refn.

Il regista danese Nicolas Winding Refn non deve essere rimasto poi così esaltato dal successo planetario ottenuto dal suo precedente lavoro, quel Drive che è stato uno dei casi cinematografici della passata stagione. E, forse per questo motivo, ha girato questo nuovo film alzando ancora l’asticella dell’accessibilità al grande pubblico per la sua nuova opera, Solo dio perdona. Il titolo, una volta visto il film, è già tutto un programma: si parla di dio e di perdono, ma il regista non ci mostrerà né l’uno né l’altro. Non venite qui a cercare quello che pensate di trovare, sembra dirci il regista: se vi aspettate il nuovo capitolo di Drive, anche se c’è ancora protagonista Ryan Goslin, qui al massimo potrete trovare l’anti-drive per eccellenza, come qualcuno ha definito con perspicacia il personaggio di rilievo del film. Julian, interpretato da un sempre convincente Goslin, è infatti la perfetta antitesi del protagonista del film precedente: tanto quello era efficiente nel difendere la sua donna, quanto questo è impotente, incapace di agire, come se fosse senza l’uso delle mani (letteralmente, ora della fine del film), e desideroso soltanto di regredire al grembo materno (come esplicitato fin troppo chiaramente da una delle astratte scene della pellicola). In ugual modo, se ci si aspetta una storia, che era già pur rarefatta nel precedente lungometraggio di Refn, si rimarrà delusi, perché la narrazione è qui totalmente sacrificata all’aspetto stilistico formale. Un film freddo e distaccato, quindi? 

Non proprio, perché il regista danese approfitta di questo distacco dalla realtà per calcare la mano sulle scene forti, simboliche e astratte ma al contempo splatter e traumatizzanti, sfornando sequenze esteticamente eccellenti, anche grazie ad un sapiente uso del sonoro. Un film bello e astratto, che forse merita il paragone con certa arte pittorica altrettanto astratta; anche se spesso questa arte non sembra altrettanto bella, almeno non nel senso estetico classico, ma è anch’essa di difficile decifrazione. Il confine, in questo tipo di operazioni, è complicato da intuire per lo spettatore medio: dov’è la distinzione tra il capolavoro difficile perché sposta un po’ più avanti il limite delle convenzioni (forse lo scopo ultimo dell’arte) e il lavoro dal linguaggio scaltramente criptico, sterile e pretestuoso? In questo caso, due sono gli elementi che perlomeno salvano il regista dalla seconda ipotesi. Innanzitutto la sequenza di immagini è bella, in termini anche classici, e non è di difficile interpretazione. 

La forma estetica del film risponde infatti a concetti oggettivi che ne fanno un film formalmente molto bello. Il secondo spunto è dato dai rimandi a Drive (stesso attore, praticamente stesso personaggio, seppur in versione negativa, ovvero rovesciato, al contrario); qui forse il regista cerca di prendere le distanze dalla deriva popolare e populistica che il protagonista del precedente film potrebbe aver ottenuto. Per un certo tipo di pubblico, il rischio è infatti che quello che doveva essere una sorta di dolente anti-eroe moderno abbia invece finito per essere un eroe, magari non proprio come il Rambo di Stallone, ma comunque lontano dagli intenti della pellicola. E allora rieccolo in azione, stavolta al cospetto di difficoltà contro le quali non è possibile fare niente; totale impossibilità di azione, come nel confronto di Muay Thai con Chang. Sarà difficile equivocare sull’impassibile consapevolezza di Julian, che accetta di pagare il conto anche per le malefatte del fratello e della madre, affrontando col suo sguardo disilluso la durissima condanna finale.
Solo dio perdona; e qui, non ci sono né dio né perdono. 







Kristin Scott Thomas



Rhatha Phongam


2 commenti:

  1. sì, probabile che non avesse gradito l'esito del precedente film, o forse voleva solo tentare qualcosa di completamente diverso, per non ripetersi...

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  2. Beh, tieni conto che la mia era una lettura un po' forzata per mettere in luce la natura del film rispetto al precedente. Non ho letto dichiarazioni o interviste per poterlo affermare; diversamente le cito. E' una supposizione per costruirci una chiave interpretativa. Che comunque si fonda anche su elementi concreti e quindi è valida, almeno secondo me, a prescindere da quel pretesto iniziale.

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