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mercoledì 13 ottobre 2021

DUELLO DI AQUILE

910_DUELLO DI AQUILE (Chintao yôsai bakugeki meirei); Giappone, 1963; Regia di Tomoyuki Tanaka.

Spiazzante, ma spiazzante per davvero, opera cinematografica, Duello di aquile è un film che, in linea teorica, si propone di raccontare un fatto storico. Siamo nell’autunno del 1914, la Grande Guerra è quindi già scoppiata, e gli alleati, in particolar modo i britannici, vedono come il fumo negli occhi la colonia tedesca di Tsingtao, strategico punto d’appoggio nell’estremo oriente. E’ l’occasione per l’alleato giapponese per salire alla ribalta della Prima Guerra Mondiale in quello che passerà alla Storia come l’Assedio di Tsingtao, evento sporadico, nel contesto del conflitto in generale, ma con qualche spunto di interesse. Alcuni di questi, il film di Kengo Furusawa riesce anche a coglierli ma nell’insieme, da un punto di vista storico, naufraga in mezzo alle troppe licenze poetiche che si concede. Però, per correttezza, va detto che Siege of Fort Bismarck, questo un altro nome con cui è relativamente noto il lungometraggio, non è affatto un brutto film e si lascia guardare con discreto divertimento. Tra le note positive, e si tratta di passaggi addirittura eccellenti, vanno messe a referto le sequenze aeree che, oltre alla spettacolarità delle immagini, si lasciano apprezzare per l’accuratezza di alcuni dettagli storici. I due arcaici velivoli Maurice Farman MF.7 Longhorn usati dai giapponesi per l’attacco alle fortificazioni tedesche lasciano esterrefatti: vedere questi primordiali biplani sfrecciare nei cieli fa venire i brividi anche al di qua dello schermo. Interessanti anche le scene che vedono la nave appoggio idrovolanti che era una versione primordiale delle portaerei; simpatico, anche se forse eccessivamente estroso, il trasporto del velivolo con bestie da soma. E ancora più bizzarra la comparsa del velivolo nemico, un Etrich Taube tedesco, che sembra il parto della mente di uno scrittore steampunk e invece è un apparecchio storicamente esistito e, come del resto i due biplani giapponesi, utilizzato appunto durante l’Assedio di Tsingtao.

Purtroppo, accanto ad elementi così evocativi e comunque con solida base storica, sono presenti sciatterie e approssimazioni inaccettabili in un film che si propone, in un modo o nell’altro, di raccontare un evento preso dalla realtà. In questo senso balzano agli occhi gli elmetti dei soldati tedeschi, un obbrobrio che prova a camuffare degli Stahlhelm, non ancora in uso nel 1914, attraverso l’aggiunta posticcia di esili spuntoni che dovrebbe, secondo gli autori, convincerci che quelli indossati dai soldati siano Pickelhaube. E che dire del fuoristrada datato qualche decennio successivo che, ad un certo punto, fa capolino? O dei fucili mitragliatori? Si tratta di incongruenze che paiono inaccettabili ma va forse fatta una considerazione a scusante degli autori del film. 

Se c’è una cosa che ha grosso modo sempre contraddistinto i film sulla Prima Guerra Mondiale è una buona attendibilità storica mentre, per quel che riguarda la seconda il discordo è leggermente diverso. Forse perché è con la vittoria più smaccatamente venduta come americana dell’ultimo conflitto planetario che gli Stati Uniti assurgeranno definitivamente a paese leader dell’area occidentale, che il cinema tratterà, dal secondo dopoguerra in poi, il genere bellico in modo un po’ analogo a quanto farà in maniera più evidente con il western. Fu il western in prima persona a svolgere la funzione epica per l’America ma, in fondo, i film di guerra potevano essere intesi in maniera simile anche se in modo meno simbolico e più realistico, narrando più fedelmente l’ascesa al ruolo di superpotenza degli States. 

Questo fenomeno fece sì che il genere bellico al cinema perse la rigida osservanza dei riferimenti storici e divenne via via più autonomo, più autoreferenziale. In pratica, se un western poteva mettere in scena generici cowboys e indiani, un film di guerra poteva contrapporre gli americani (i buoni) ai tedeschi (i cattivi) senza attenersi più di tanto ai dettagli storici. Nel 1963, anno di produzione di Duello di Aquile, si era tra l’altro nel periodo di decadenza (o, più propriamente, del superamento della fase classica) di questi generi, sia western che bellico, e una certa libertà d’interpretazione era normalmente diffusa. In questo senso si possono forse intendere le tante imprecisioni che affossano Duello di Aquile forse anche perché, dopo l’avvio con gli splendidi Maurice Farman MF.7 Longhorn, ci si poteva fare tutta un’altra idea. Nel complesso si tratta di un film godibile e, tenendo presente queste ultime considerazioni, possiamo provare a perdonare anche i tanti svarioni. 












Mie Hama


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