1262_IL POSTINO SUONA SEMPRE DUE VOLTE (The Postman always rings twice). Stati Uniti, 1946; Regia di Tay Garnett.

La MGM era stata tempestiva nel comprare i diritti del
torbido romanzo hard-boiled di James M. Cain, Il postino suona sempre due
volte, ma metterlo sullo schermo non era cosa da prendere alla leggera. Il
Codice Hays era uno scoglio arduo da affrontare, con un tema così scottante
come la storia raccontata nel libro; mentre ad Hollywood si temporeggiava, prima
in Francia (1939, Le dérnier tournant di Pierre Chenall), poi in Italia
(1943, Ossessione di Luchino Visconti) si diedero più che valide
trasposizioni del racconto. Ma, per la questione dei diritti, le opere europee
furono ostacolate dallo studio del leone ruggente; intanto, nel 1944, La
fiamma del peccato (regia di Billy Wilder), ugualmente tratto da Cain e anch’esso
con un grado di morbosità notevole, superò i problemi di censura: rinfrancata
da ciò, la MGM diede il via all’operazione Il postino suona sempre due volte
affidandone la direzione a Tay Garnett. Il film, anche a vederlo oggi, conserva
il suo approccio malsano, dal momento che i protagonisti sono in fin della
fiera due criminali. Ma non due volgari fuorilegge: semplicemente due persone
troppe deboli e incapaci di reggere una propria dirittura morale. La cosa che
sorprende oggi, e stupisce maggiormente, è però un’altra. La protagonista
indiscussa del film è Lana Turner nel ruolo di Cora Smith; da notare che Cain,
una volta visto il film, si disse soddisfatto al di là delle più rosee
aspettative per l’interpretazione del suo personaggio da parte della diva
platinata. Lanallure, lo chiamavano, l’allure di Lana; un fascino con
ben pochi eguali a Hollywood e non solo. Ma è proprio qui il punto critico: la
Turner è superba, intendiamoci.

Il suo iconico ingresso in scena, a partire
dalle décolleté bianche e poi, salendo, gambe perfette, calzoncini, top
e turbante ugualmente candidi, si iscrive di diritto nella galleria di immagini
delle divinità hollywoodiane. Di fronte a lei, chinatosi umilmente a
raccoglierle il rossetto, il suo sparring partner, John Garfield nel ruolo di
Frank. Il rapporto tra i due è però abbastanza contraddittorio, perché fin da
subito l’uomo, dopo aver raccolto il cosmetico, non lo consegna alla donna ma
aspetta che sia lei a muoversi per riprenderselo. Andranno avanti così per
tutto il film, con un rapporto di dominazione/dominato che vede Cora avere una
certa supremazia ma non totale e completa. I due sono amanti, o meglio lo
diventeranno nel corso del film; perché la donna è sposata con Nick (Celcil
Kellaway), un pacioso individuo che non si capisce mai quanto sia fesso o
quanto reciti a farlo.
.png)
Del resto la storia, se non è nota abbastanza, non è
difficile da immaginare: ‘bella donna sposata per interesse ad un uomo
benestante ma non attraente, trova l’amante e con la sua complicità uccide il
marito.’ I timori della MGM erano legati innanzitutto alla prospettiva del
racconto, che segue le vicende del duo criminale senza mai criticarne il
comportamento da un punto di vista morale o etico. Inoltre le allusioni
erotiche erano certamente piccanti, in quanto la Turner sfoggiava per tutto il
film il perfetto personale, peraltro senza scadere mai nel volgare. E
qui torniamo al punto curioso di cui si diceva: perché la Cora interpretata da
Lana Turner non sembra aver niente a che fare con il resto della storia. Cioè,
che una bella ragazza sposi un attempato uomo per sistemarsi, è cosa credibile;
ma Lana Turner nel 1946 non era una generica bella ragazza, e ne Il postino
suona sempre due volte meno che mai. Lana era un’autentica divinità
pienamente consapevole del fascino laccato e impeccabile, quasi freddo tanto la
sua bellezza era curata alla perfezione. Una bella ragazza poteva certamente
sistemarsi alla locanda delle Querce Gemelle, una 'Lana Turner' era decisamente
meno probabile. Non è che l’attrice americana sia stata la donna più bella di
sempre, non è questione di bellezza e nemmeno di fascino. Le classifiche
lasciano il tempo che trovano e ad Hollywood di dive, nel corso dei decenni, se
ne son viste parecchie.

La cosa che stupisce è che se Lana adeguava
abitualmente ben poco il suo guardaroba alle circostanze, in questo film non lo
adeguò del tutto: ne Il postino suona sempre due volte l’attrice è
sempre pettinata e vestita a puntino come una modella pronta per la sfilata pur
recitando il ruolo di locandiera di periferia. Essendo l’epicentro della storia
– Cora è il vertice del classico triangolo melodrammatico, compreso tra Frank e
Nick – la cosa contribuisce ad un effetto straniante sulla storia. Il film segue
il classico schema noir, con Frank, il protagonista un po’ spiantato, che
incontra sulla sua strada la dark lady, ovviamente Cora, che lo condurrà alla
rovina. Sulla carta il tenore della storia è torbido, con i due amanti che se
la intendono sotto il naso del marito, amoreggiando sotto il suo stesso tetto
addirittura con il suo apparente beneplacito – si veda la scena in cui tornano dalla
spiaggia che è già notte e Nik non sembra minimamente curarsene. Eppure il
distaccato glamour di Lana raffredda l’atmosfera, la mantiene ambiguamente
accettabile da un punto di vista formale contribuendo ad alimentare l’ipocrisia
con cui i due protagonisti procedono impunemente lungo la storia. Ma
l’ipocrisia di Frank è, a conti fatti, poca roba, è l’ipocrisia di un debole:
l’uomo, infatti, si lascia sedurre pur se recita convintamente il ruolo di
macho della vicenda, si lascia convincere agli intenti criminali di Cora, si
lascia intimorire dal procuratore Sackett (Leon Ames) e così via. Cora, invece,
almeno sotto questo aspetto, è di altro livello, con un’ipocrisia forse pari a
quella del marito Nick.

Con la sua aria perfettina – lei è quella che si mette
la cuffia per non sciuparsi i capelli biondo platino ogni volta che si fa un
tuffo nel mare – maschera un’anima che non esita a macchiarsi di un crimine
odioso come l’omicidio del marito semplicemente perché lo ritiene necessario.
Ma lo stesso consorte Nick non è di pasta diversa, anzi: lui non ha la forza
per progettare un omicidio vero e proprio ma ha la cattiveria sadica e subdola
per mascherare di bontà – l’assistenza alla sorella inferma – un’azione
chiaramente volta a danneggiare la moglie. Tutta la strategia dell’uomo a
chiaramente ambigua: prende sotto il suo tetto un aitante giovanotto, quando è
chiaro che può essere un pericolo per la sua stabilità coniugale, arrivando a spingere
poi sua moglie direttamente nelle braccia dell’ospite la sera in cui Cora
ballerà con Frank. In seguito c’è l’ulteriore scena con i due che tornano dal
mare e lui è già a letto e, quando si sveglia e li scopre abbracciati in
cortile, non dà il minimo peso alla cosa. Ingenuo? In differenti situazioni,
quelle legate agli affari, per intenderci, Nick non sembra poi così sprovveduto
per cui il quadro complessivo del personaggio è quantomai fosco. Il tema
dell’ambiguità è chiaramente introdotto già dal titolo, con quel
‘suona
sempre due volte’ che è una ripetizione e richiama anche la natura duplice
del racconto, ambientato, tra l’altro, in una locanda che si chiama Le
Querce Gemelle. In ogni caso molti sono i passaggi che si ripetono, dai
tentativi di omicidio, alle confessioni, agli incidenti in macchina, in genere
con un distinguo: dei due eventi uno è reale, l’altro è in qualche modo
posticcio, finto, fasullo. Il primo tentativo di omicidio si accoppia
con il fatale secondo; la confessione al procuratore a quella inutile ai fini
processuali, resa da Cora a Kennedy (Alan Reed) che non lavorava per l’accusa
ma all’opposto per il suo difensore, l’avvocato Keats (Hume Cronyn). E anche
gli incidenti in macchina sono due ma se nel primo è solo inscenata la morte di
Nick, visto che l’uomo è stato ucciso in precedenza, successivamente sarà un
vero schianto a uccidere Cora. Ufficialmente il significato del titolo,
e del film, è che la verità viene sempre a galla, anche se cerchiamo in prima
istanza di ignorarla o nasconderla. Un po’ come il postino che insiste finché
non gli apriamo, per stare con l’esempio utilizzato come appellativo
dell’opera. 

Così Frank, prima della fine del film, pagherà per l’omicidio di
Nick, mentre Cora a quel punto era già stata punita dal Destino, finendo, lei
sì, uccisa in un incidente. La mano beffarda del fato si riconosceva anche
nella sorte di Frank, che finiva alla pena capitale per un omicidio che non
aveva commesso dopo averla scampata per quello invece di cui era responsabile. Ancora
ripetizioni, con la Giustizia che fa cilecca ma che, almeno in un caso – posto
di accettare la morte di un condannato come atto di Giustizia – assolve concettualmente
al suo compito: Frank era un assassino e come tale andava punito. E’ quindi
questo, il senso del film? Inutile affannarsi, pagheremo in ogni caso i nostri
debiti? E il bambino che Cora porta in grembo, quale colpa avrebbe?

E’ solo il simbolo
di una felicità impossibile da raggiungere per i nostri due protagonisti? O
forse è il simbolo di un futuro irrealizzabile in un paese – l’America ma vale
in conseguenza per tutto il mondo occidentale – dove nessun personaggio, né
Cora, né Frank, né Nick, e neppure i rappresentanti delle istituzioni,
procuratori e avvocati, è davvero onesto nelle sue azioni? Tutti hanno un
duplice comportamento, accanto a quello di facciata: ognuno cerca di fare
spudoratamente il suo interesse. Cora finge di essere una brava moglie ma in
cuor suo vuol solo liberarsi del marito; Frank accetta un incarico per mettere
le corna al suo datore di lavoro; Nick spaccia per umanità verso la sorella il
sadismo nei confronti della moglie; il procuratore e l’avvocato ricorrono continuamente
a sotterfugi per raggiungere il proprio scopo nelle dispute legali. E l’amore
tra Cora e Frank, di cui il figlioletto in arrivo era il frutto? Per quanto
zoppicante, è l’unica cosa positiva del film e trova conferma nel duplice atto
di fede nel finale. La prova a cui si sottopone la donna, nelle acque profonde
del mare, e il pentimento di Frank poco prima della condanna, sembrano l’unico
raddoppio davvero valido del film. Cora e Frank sono le uniche persone che
hanno un moto di fiducia in un contesto dove l’inganno – il tema del doppio – è
la normalità, la norma, quasi una
legge, verrebbe da dire.
Forse non a caso i due sono i riconosciuti fuorilegge
della storia.
Lana Turner
Galleria di manifesti