Translate

martedì 18 novembre 2025

LA LETTERA ACCUSATRICE

1760_LA LETTERA ACCUSATRICE (Cause for Alarm!)Stati Uniti 1951. Regia di Tay Garnett

È una cosa un po’ sorprendente che un regista che nel 1946 abbia diretto un classico come Il postino suona sempre due volte [The Postman always rings twice, Tay Garnett, 1946], si ritrovi, cinque anni dopo, alle prese con la regia di un film come La lettera accusatrice. In sé, Cause for Alarm! non è certo un’onta all’interno di una filmografia, tuttavia è troppo evidente la sua matrice minore per essere davvero ritenuto interessante per un cineasta che avesse diretto, oltre a Lana Turner, anche Marlene Dietrich e Jean Harlow, solo per restare alle attrici famose. Per la verità, ne La lettera accusatrice, c’è Loretta Young, star di un certo rango che può quindi aggiungersi alla lista, ma questo è uno dei pochi elementi davvero di rilievo del film. Che non è brutto, come accennato, ma, unicamente, si fonda su un pretesto narrativo che poteva essere valido per un film televisivo se non addirittura un telefilm. Stando alle cronache, la Young insistette con il marito Tom Lewis, produttore della pellicola, per avere la parte di Ellen Jones, la protagonista. Il ruolo, in effetti, prevede una certa intensità emotiva e, su questo, Loretta si impegna a dovere oltre ad essere particolarmente predisposta per le situazioni di stoica sofferenza amorosa. La lettera accusatrice è classificato come Noir o Thriller e tale è l’impostazione ma se ci aggiungiamo il carico sentimentale che la Young dispensa e il colpo di scena risolutivo, degno di una commedia se non di un film comico, si può ben capire come i conti fatichino a tornare. In effetti, per la MGM, lo studio di produzione, si trattò di un fiasco commerciale e la ragione è, molto probabilmente, la sensazione di incompiutezza che lascia nello spettatore. Non è, tuttavia, un’opera noiosa o malfatta, sia chiaro, manca però uno sviluppo vero e articolato: la situazione è sempre quella e si aggrava sempre più, fino alla risoluzione che, per quanto possa far sorridere, allo stesso tempo si rivela una delusione. Il soggetto non sembra lavorato a dovere e, oltre a prevedere un forte salto temporale, elemento sempre di un certo disturbo, questo è anche giustificato in modo approssimativo: l’idea di rendere tutto quanto un flashback prova infatti a rendere omogeneo il racconto, ma è palese che si tratti unicamente di un espediente. Durante la guerra, Ellen, sorta di infermiera adibita al supporto morale dei feriti, è assistente del dottor Ranney (Bruce Cowling), evidentemente innamorato di lei. 

Un giorno, all’ambulatorio arriva un amico del dottore, George Z. Jones (Barry Sullivan), pilota d’aereo che, colpito dalla bellezza della ragazza, si infila in un letto e si finge malato, riuscendo a conquistarne l’attenzione prima e il cuore poi. Con un balzo temporale si passa quindi a guerra finita: Ellen e George si sono alfine sposati. Ironia della sorte, l’ex militare sta ancora sotto le coperte in condizioni di malattia, non si capisce bene se vera o presunta, tuttavia questa volta i suoi intenti sono meno nobili. L’uomo si è, infatti, convinto dell’infedeltà di sua moglie, sospettando una tresca con l’amico Ranney; in realtà George soffre di disturbi mentali, probabilmente causati dal conflitto bellico, e arriva a progettare di uccidere la propria consorte. Per vendicarsi scrive quindi una lettera al procuratore, nel quale accusa Ellen e Ranney di avvelenarlo con la scusa dei medicinali; la donna, convinta dal marito che si tratti di una innocente missiva all’assicurazione, la consegna al postino. Quando, ormai completamente in preda al suo delirio, George cerca di uccidere Ellen, sparandole, viene colpito da infarto ma, prima di morire, rivela alla moglie il contenuto della lettera. Il tema del racconto diviene ora il disperato tentativo, da parte della donna, di recuperare per tempo la lettera in questione: il contenuto, infatti, l’accuserebbe dell’omicidio del marito. La tensione sale di tono ma, proprio in questo momento, il film si sgonfia perché che ad ostacolare il tentativo di riprendersi la lettera la donna trovi solo l’apparato burocratico delle poste è un mezzo autogol degli sceneggiatori. Prima il portalettere (Irvin Bacon) –un postino cocciuto pasticcione di pasta ben diversa dal John Garfield de Il postino suona sempre due volte– poi il sovraintendente (Art Baker) si appellano al regolamento e a cavilli burocratici per non restituire la lettera. Che poi, ironia della sorte, viene resa al mittente perché troppo pesante in relazione al valore dei francobolli affrancati: simpatica soluzione, d’accordo, ma assolutamente non adeguata alla tensione provocata dal film.   



Loretta Young 






Nessun commento:

Posta un commento