1709_AFRICA AMA , Italia 1971. Regia di Angelo e Alfredo Castiglioni
Africa segreta, pur con qualche problema nella prima fase, dalle difficoltà di
Guerrasi nel dare una forma accettabile al girato dei suoi colleghi
esploratori, all’iniziale scetticismo dei produttori, era stato poi gratificato
dal grande successo di pubblico. E la critica, tutto sommato, cogliendo una
certa differenza dai Mondo movie alla Jacopetti, non si era nemmeno accanita
eccessivamente nonostante le immagini cruente. Considerata la vastità del
Continente Nero, la sua profondità, intesa come peculiarità di ogni villaggio,
di ogni etnia, era scontato che i quattro cineasti, i gemelli Castiglioni,
Pellini e Guerrasio, facessero il bis. Per approfondire meglio la loro analisi
all’Africa, i nostri autori si concentrarono su un elemento che, probabilmente,
è anche quello che ha generato la differenza tra i paesi che hanno avuto uno
sviluppo tecnologico e quelli presi appunto in esame, definiti primitivi. Con
le loro escursioni, i Castiglioni e Pellini, sostenevano di portare lo
spettatore in un autentico viaggio nel tempo, tornando ai tempi dell’età della
pietra o giù di lì. In effetti, la fascinazione dell’uomo moderno, di fronte ai
riti arcaici che venivano mostrati, potrebbe essere quella di chi sta vedendo
qualcosa che, nel profondo della memoria ancestrale, in qualche modo gli
appartiene. Secondo qualche teoria, il punto che, probabilmente, fece
«svoltare» alcune popolazioni, è stato il modo di intendere il sesso: in
soldoni, una sfrenata libido potrebbe aver indotto una febbre innaturale che ha
innescato lo sviluppo tecnologico. Del resto, era più o meno questa
l’interpretazione che ne dava perfino la Bibbia con la questione di Adamo, Eva,
il serpente e l’albero della conoscenza.
Per comprendere, quindi, per quale motivo alcune popolazioni siano invece
rimaste in una condizione di Natura, in equilibrio con essa, ovvero primitiva,
è quindi logico concentrare il proprio discorso su come queste genti intendano
il sesso. Da qui il tema portante di Africa ama, il cui titolo cerca
forse di rendere chiaro il discorso senza scadere nel volgare. In realtà, le
immagini del film non hanno un’attinenza con il concetto abituale che
attribuiamo al verbo «amare»; quel che è certo è che sulla autenticità delle
riprese dei Castiglioni nessuno, in genere, ha mai proferito dubbi.
Africa ama è indiscutibilmente un film duro, da reggere, con passaggi
difficili: perfino la «banale»
avulsione dei denti, porta lo spettatore a distogliere lo sguardo, figuriamoci
la circoncisione o la terribile infibulazione inflitta ad una sventurata
ragazzina. Non mancano le uccisioni di animali, in genere sempre associati a
questo o quel rito, ma comunque particolarmente truculenti essendo il sangue
l’elemento che interessa in questo genere di celebrazioni. C’è del sadico
compiacimento, da parte degli autori? Non sembrerebbe in maniera poi così
maggiore rispetto al precedente Africa segreta, se non che l’argomento,
in questo caso, portò gli autori ad insistere su passaggi ritenuti
particolarmente scabrosi. Ma, del resto, le mestruazioni o il parto, sono tutte
situazioni perfettamente naturali che presentano, se viste con l’occhio
dell’uomo moderno, dei contenuti forti, perfino disturbanti, se chi guarda ha
l’animo particolarmente sensibile. Tutto sommato, vedendo il film oggi, non ci
si aspetterebbe un’accoglienza particolarmente diversa rispetto a quanto
avvenuto per Africa segreta. Ma non andò affatto così. Cioè, il pubblico
accorse ancora numeroso, e Africa ama si piazzò al 40° posto tra i film
più visti in Italia nella stagione 1971/72.
Questo nonostante il film ebbe anche delle noie legali, sebbene la cosa potrebbe perfino avere giovato alla «fama» dell’opera, considerato il tipo di pubblico di queste pellicole. Per dire: se un film era vietato ai minori, la pubblicità lo sottolineava con un «rigorosamente», a voler ribadire i contenuti eccezionali, in un senso o nell’altro, della pellicola. In ogni caso, Africa ama venne sequestrato il 10 febbraio a Varese: “Il Sostituto Procuratore della Repubblica, dott. Francesco Pintus, ha oggi ordinato il sequestro del film Africa ama, in proiezione al cinema Politeama di Varese. Gli agenti della squadra mobile, alle 16, hanno notificato il provvedimento al gestore del cinema. La proiezione è stata interrotta, poi è stata ripresa per non rimborsare, agli spettatori presenti in sala, l’importo del biglietto. La sala è stata definitivamente chiusa verso le 17”. Merita uno spunto di riflessione l’operato della magistratura: si arrivò a sequestrare un’opera d’arte approvata precedentemente da un organo preposto come quello della censura, ma poi la si lasciò il tempo necessario nelle sale per non dover rimborsare i biglietti agli spettatori. Evidentemente il buon costume, l’offesa alla morale, o qualunque altro motivo abbia indotto il Sostituto Procuratore a sequestrare il film, non valeva il costo del biglietto del cinema. Intanto, in ottemperanza con quanto previsto dall’autorità varesina, la Questura di Udine aveva disposto a sua volta il sequestro della pellicola, in quel momento in visione al cinema Odeon del capoluogo friulano. Del resto il giorno 11 il Sostituto Procuratore ne aveva disposto il sequestro su tutto il territorio nazionale. Il 22 febbraio la Questura della Repubblica di Milano ordinò il dissequestro e la riconsegna delle pellicole agli aventi diritto.
La questione non si esaurì ovviamente lì. “Milano, 3 marzo 1972. È stata decisa, oggi, la confisca del film Africa ama, per «offese alla pubblica decenza» nella sequenza di un’orgia a base di hashish. Il provvedimento non diverrà esecutivo perché i difensori hanno già ricorso in Cassazione. Sono stati condannati a quattrocentomila lire di multa il regista Guido Guerrasio, ed i produttori, Angelo e Alfredo Castiglioni ed Oreste Pollini. Il film, prima del processo, era stato già sequestrato”. Insomma, un tira e molla estenuante tipico della Giustizia italiana, e si perdoni il commento qualunquista ma, del resto, adeguato alla situazione. A stupire per asprezza, furono però i commenti della critica specializzata. Tra questi, uno dei più sorprendenti fu la stroncatura di Bruno Damiani sulle pagine di Cineforum: “Il motivo conduttore generale del film Africa ama vorrebbe essere la tesi secondo cui il comportamento dei primitivi africani segue docilmente le leggi di natura, in netta contrapposizione con la civiltà che di essa è soltanto una deviazione. (…) Tra il dire il fare c’è di mezzo il mare, recita un vecchio adagio popolare. Tra Rousseau e Guerrasio c’è di mezzo il fascio. Anche il povero ginevrino, infatti, si era proposto di dimostrare una tesi più o meno simile, solo che (ecco perché «poveretto») non gli era mai venuto in testa di esaltare il suo «primitivo» descrivendocelo mentre è tutto intento ad assaporare un distillato di… sterco di mucca, né aveva creduto (altro grosso errore, a quanto pare) di poter comprendere i motivi che portavano il buon selvaggio a comportarsi in un determinato modo, se non facendo riferimento a tutto il contesto storico e sociale in cui era inserito. (…) Nel film di Guerrasio, invece, non solo non c’è neppure la regoletta cronachistica del «come» e «perché» (che in fin dei conti sarebbe stato pur sempre qualcosa) ma manca completamente l’analisi dei fatti che tenga conto del quadro generale (politico, sociale, culturale, geografico) in cui essi sono inseriti, nonché il minimo criterio di scelta dei fatti in base al «particolarmente significativo». In Africa ama, cioè, non solo le sequenze sono state studiate in funzione dello spettacolo truculento e ad effetto (e non del significativo), ma vana sarebbe ogni ricerca di legami tra la «realtà» mostrata, e la situazione sociale e politica in cui si sono venuti a trovare gli indigeni africani per colpa (passata e presente) della politica colonialista della civiltà dei bianchi. Anzi ai bianchi –e ai missionari in primis– sono dati solo attestati di merito. (…) Né sapremmo come altro giudicare immagini che, per sottolineare un «originario» vivere naturale ci mostrano scene tendenti a far sgomentare e inorridire, e per «criticare» la deviazione della nostra civiltà da una simile forma di vita, ci mostrano (o fanno riferimento) a città moderne e ad usi di gran lunga meno «crudeli». Africa ama, insomma, non fa altro che approfittare di una ambigua enunciazione antropologica e sociologica, per portare acqua al mulino del razzismo (solo le bestie come i negri possono continuare a vivere ai giorni nostri in siffatti modi!) e del colonialismo (da soli, che mai saprebbero fare?)”. Dopo una simile requisitoria, il Damiani arriva finalmente al punto che gli preme: “Il film, ad ogni modo, non è solo un avvallo del peggior razzismo e di una «cristiana» e «democratica» politica estera nazionale, ma è anche sotto sotto un ottimo antidoto per la contestazione della nostra civiltà. Come sarà possibile, infatti, ora che abbiamo visto quanta strada ci separi da quelle povere «bestie» con sembianze umane, ora che abbiamo visto che un ritorno alla natura significherebbe un ritorno alla barbarie, contestare ancora la bontà del nostro sistema sociale, e chiedere il ritorno a forme di vita più naturali”.
In effetti, lo spettatore odierno, forse ignaro della battaglia politica degli anni della rivoluzione sessantottina, potrebbe rimanere stupefatto dalle parole del critico, che è difatti non semplice associare al film in questione. In realtà, seppure non vi sia direttamente un intento politico negli autori di Africa ama, aveva le sue ragioni Damiani ad intravvedere un pericolo per le sue convinzioni. Il problema non è, però, nel film dei Castiglioni e compagni, ma è nella radice del pensiero rivoluzionario che aveva –e ha– intrinsecamente una profonda contraddizione. Se si utilizza la dottrina socialista o comunista, come strumento di critica al modello vigente, la cosa è funzionale. In effetti, la contestazione del Sessantotto, in quanto moto di rivendicazione e protesta, ebbe ampi meriti. Più complicato quando si cerca di proporre queste teorie come linee guida, e gli esempi pratici fallimentari si sprecano e non serve nemmeno nominarli. Purtroppo, per il Damiani, l’unica speranza che la contestazione sociale trovi soddisfazione è, almeno stando alle stesse teorie comuniste, nel superamento del Capitalismo. Non a caso Karl Marx e Friedrich Engels pubblicarono a Londra il Manifesto del Partito Comunista, in quel paese in cui, con la Rivoluzione Industriale, era nato il Capitalismo. E proprio lì era lecito pensare che, per via della più lunga evoluzione, si potesse già andare oltre. Del resto, i movimenti o i giornali di sinistra hanno abitualmente nomi come «Progressisti» o «Avanti!», ovvero termini che indicano l’idea di superare l’odierno sistema vigente. Il ritorno alla Natura non è contemplato nell’idea rivoluzionaria, perché il primo passo vorrebbe dire, almeno andando in ordine cronologico inverso, rinunciare alla democrazia in favore della monarchia. Concettualmente, non esattamente il massimo in ottica rivoluzionaria, sebbene madama Storia insegni che spesso succeda anche di peggio. Ecco, quindi, da dove probabilmente proviene il livore del critico di Cineforum. Africa ama mostra semplicemente come vivevano i popoli primitivi. Popoli sostanzialmente non raggiunti dalla colonizzazione, almeno non in modo significativo, e, quindi, per le eventuali loro barbarie –che sono tali ai nostri occhi ma, evidentemente, non ai loro– non si può accusare l’uomo bianco. Ma un simile concetto, una simile realtà, dimostra anche come l’opzione «ritorno alla Natura», non sia propriamente percorribile dalla nostra civiltà e, men che meno, potesse venir usata come vessillo dall’intellighenzia radical-chic.
A sua parziale attenuante, va detto che il critico di Cineforum non fu l’unico a stroncare pesantemente il film, finanche in genere il resto dei recensori severi si attenne a quanto mostrato sullo schermo senza eccessivi voli pindarici. “Due anni fa, girando nei paesi centro-africani i documentari poi raccolti in Africa segreta, gli operatori Castiglioni e Pellini misero da parte idee e spunti per un nuovo film sugli usi tribali da conservare per tempi migliori. Si sapeva, dopo le prime esperienze di Jacopetti, che il pubblico era sensibile alla crudeltà dei rituali «selvaggi», trovandovi forse l'immagine speculare delle sue violenze represse. Africa ama porta adesso al limite consentito dalle consuetudini cinematografiche quella feroce documentazione, infilando la via comoda dei costumi sessuali che garantiscono di trasformare, se occorre, la violenza in sadismo. L'interesse etnologico, posto avanti a difesa degli autori (tra i quali il Guerrasio ha un passato di attento ed efficace documentarista), non dissipa i sospetti e i disagi connaturati a questo tipo di divulgazione. Non solo il sospetto di un implicito razzismo (le donne di colore sono sempre le prime a cedere sugli schermi la loro intimità), ma il disagio di un’operazione semplicemente speculativa. Le riprese si garantiscono autentiche, anche se i riti fotografati sono ufficialmente proibiti dalle autorità africane. Il Grand Guignol, rosseggiante, con violenze su uomini e animali, si sostituisce all’etnografia disinteressata”. “All’origine, dunque, del razzismo italiano c’è l’idea del «cattivo selvaggio», irrimediabilmente portato ad essere «primitivo». (…) Queste riflessioni ci sono venute in mente assistendo alla proiezione del documentario Africa ama”.
“Per via del commento, il film pecca a parer nostro di superficialità e di ambiguità ideologica”.
“Africa ama è il prodotto di una tipica operazione mercantilistica”.
Ci furono, per altro, anche commenti meno sprezzanti: “Certo il materiale è pregevole, tutto rigorosamente autentico, non camuffato, né contrabbandato per ottenere effetti, che del resto ci sono già, in abbondanza. L’Africa vera è qui, da quella più orribile, dei riti di sangue e di morte, a quella che tra pochi anni non ci sarà più”.
Tuttavia, in un certo senso, le recensioni negative, indiscutibilmente la maggioranza, sono anche le più significative, le più indicative. Quali sono le criticità del film dei gemelli Castiglioni? Incominciamo dalla più scontata, ovvero dall’accusa di essere un’«operazione mercantilistica»: ricordando che, in effetti, i registi milanesi non sconfessarono questo aspetto del loro cinema, giova anche tenere a mente che perfino Bob Dylan non regala i suoi album musicali ma, giustamente, li vende.
Quindi non basta tacciare di essere commerciale, per screditare un’opera d’arte, ma occorre spingersi un po’ più nel merito. Inoltre, anche le osservazioni sulle intenzioni degli autori, il loro enfatizzare o meno alcuni aspetti –che si intenda truculenti o altro non importa– lascia ugualmente il tempo che prova. «La strada per l’inferno è lastricata dalle migliori intenzioni» recita un noto detto, ma, analogamente, potrebbe anche essere vero quasi l’esatto contrario. Ovvero, a volte, qualcosa di positivo può saltare fuori anche se all’origine gli intenti non fossero per forza così nobili. Perché, almeno in ambito artistico, quello che conta, non sono tanto gli intenti, ma il risultato che alla fine si ottiene. Restando in campo cinematografico: Hollywood ha sempre e solo guardato al botteghino ma, ugualmente, è stato il luogo dove sono stati prodotti innumerevoli capolavori nel senso artistico del termine. Uno degli elementi di cui il commento, scritto da Guido Guerrasio, sottolinea l’importanza è la differenza con cui le popolazioni primitive dell’Africa si rapportano al sesso, rispetto alla nostra società. In piena sintonia con la Natura, queste popolazioni intendono il sesso come lo strumento per procreare e non sembrano tributare all’erotismo l’importanza che gli diamo noi. Eppure, ci sono passaggi in cui si avverte, anche tra queste genti, un certo sentimentalismo, una forma arcaica, appena abbozzata, di romanticismo. Qualche sguardo timido, qualche imbarazzo, nelle scene delle giovani coppie, è possibile notarlo. Queste immagini non sottolineano la diversità con l’uomo bianco, al contrario, dimostrano la radice comune. É chiaro che il contesto durissimo, in pratica l’Età della Pietra, non consente a queste popolazioni di perdere tempo in troppe smancerie, ma, nonostante le condizioni proibitive, la matrice sentimentale dell’uomo, almeno nell’ambito del corteggiamento, trova comunque il modo di manifestarsi. Africa ama è certamente un film disturbante, eppure, nel descrivere le pratiche agli organi sessuali dei giovanissimi, mostra come, anche in altre culture, lontane secoli di evoluzione dalla nostra, ci sia uno sforzo per differenziare tra loro i sessi. La circoncisione e le mutilazioni inflitte agli organi genitali femminili sono, stando alla «voce over» di Riccardo Cucciolla, tentativi di eliminare riferimenti o similitudini al sesso opposto, cosa ricercata in entrambi i generi sessuali. Si vuole, cioè, che i maschi siano più maschi e le femmine più femmine; pur se con sistemi certamente diversi, la stessa cosa che fa la nostra cultura da secoli nell’educazione dei bambini. Quale che sia stato l’intento degli autori nel mostrarci le raccapriccianti immagini, il risultato è quello di farci riflettere sui nostri stessi concetti educativi. La struttura sociale della nostra società, come di quella dei primitivi vista nel film, sembra dipendere proprio da questa forzata enfatizzazione della differenza sessuale, quasi un dimorfismo sessuale aumentato artificialmente.
E la conferma, Africa ama ce la offre, ancora una volta, forse, prevaricando i reali intenti degli autori. Per quale motivo, verso il finale, nel film sono mostrati quella sorta di dandy, uomini imbellettati che si lasciano scegliere dalle compagne? Forse per giustificare l’appartenenza di Africa ama ai Mondo movie, rispettandone uno dei più classici cliché, quello del travestitismo. In effetti, nel frammento precedente, si erano visti anche alcuni omosessuali, giusto per introdurre l’argomento a dovere. La cosa che salta all’occhio, e che sorprende, è come, tanto i gay che i dandy di queste tribù indigene, si mostrino ammiccanti, sorridenti, disinibiti, esattamente come lo sono queste persone alle nostre latitudini. «Gay» in origine, in effetti, significava gaio, spensierato, e tali sembrano questi primitivi africani che, in un modo o nell’altro, sono rimasti immuni all’imprinting binario che anche le società primitive prevedevano. Quello che interessa non sono certo i gusti sessuali, quanto l’approccio sereno alla vita di questi individui, che non sembra affatto un atteggiamento artefatto o simulato. L’atteggiamento di chi non si è lasciato condizionare dall’educazione, dalla cultura, dalla tradizione, sia essa dei popoli primitivi che delle società più evolute.
Può bastare come spunto che ci arriva da un film definito «mercantilistico»?
Tuttavia bisogna riconoscere che c’è, effettivamente, una certa distanza tra l’idea del loro lavoro che i fratelli Castiglioni lasciano intendere, nelle loro interviste, e quanto poi è mostrato sullo schermo. I film sono interessanti, possono anche fungere da utile spunto di riflessione, ma, nonostante l’abilità in sala taglio di Guerrasio, rimangono dei collage piuttosto superficiali. Il che è nell’ordine delle cose, per la vastità degli argomenti affrontati, usi e costumi di società primitive e con peculiari tradizioni consolidate da anni, sparsi su un territorio che, girandolo palmo a palmo, è quasi sconfinato. Inoltre, il cinema, per sua stessa natura, è un media popolare di massa: può comunicare con una vastissima platea, ma divulga concetti giocoforza semplificati. L’ambizione dei Castiglioni è però espressa chiaramente dalle parole di Alfredo: “Quindi, anche attraverso questa esperienza, ci fu data la possibilità di portare sullo schermo immagini mai viste prima e questo era esattamente l’obiettivo che, come etnologi, ci eravamo prefissati fin dall’inizio delle nostre spedizioni. Inoltre rammento che molto del nostro materiale è stato utilizzato da istituti di ricerca etnologica e antropologica”. Forse anche per aumentare il prestigio d’impatto dei loro lavori, i gemelli Castiglioni coinvolsero Alberto Moravia nel loro successivo progetto. I due fratelli milanesi chiariscono, questa scelta, nella citata intervista. Angelo: “(…) abbiamo sempre tentato di trovare un significato a tutto ciò che filmavamo e, in questo, la professoressa Salvioni ci è sempre stata di grande aiuto”. Prosegue quindi Alfredo: “Tra gli altri, anche Alberto Moravia ha contribuito al nostro lavoro scrivendo il commento in Magia nuda”.
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Al fenomeno dei Mondo Movie, Quando la Città Dorme ha dedicato il secondo volume di studi attraverso il cinema: MONDO MOVIE, AUTOPSIA DI UN GENERE, AUTOPSIA DI PAESE
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