1300_CRASH . Canada, Regno Unito,1996; Regia di David Cronenberg.

Innanzitutto bisogna intendersi: non si va a vedere un
film di David Cronenberg – e men che meno il suo disturbante Crash – per
passare una serata piacevole di cinema. Non è un cinema divertente, quello del
canadese. E già che ci siamo: è vero, Crash è un film metalinguistico,
il protagonista si chiama James Ballard (James Spader) e fa il produttore
cinematografico. Ma il ruolo di Cronenberg, nella derivante metafora, è quello
di Vaughan (Elias Koteas), e non è un dettaglio marginale, non fosse anche solo
perché dalla voce di quest’ultimo abbiamo una confessione diretta sulla natura
del cinema del profeta della nuova carne. Vaughan, rispondendo a Ballard
a proposito del suo progetto, risponde testualmente: “il
rimodellamento del corpo umano da parte della tecnologia”. Una definizione
che sembra calzante per il cinema di Cronenberg, vero? Fino ad un certo punto,
perché il cinema del regista nato a Toronto è molto più sostanziale; tant’è che
lo stesso Vaughan, più avanti, rivela che quella parte del suo lavoro “è
solo rozza fantascienza” che riveste in superficie la sua opera, la cui
natura è assai più profonda. E’ qualcosa di intimo, di personale, di interiore.
Tornando all’attribuzione dei ruoli nella metafora metalinguistica, forse non è
un caso che Koteas sia canadese, proprio come Cronenberg, a differenza di
Spader che è statunitense. E lo stesso scrittore James Ballard, autore del
romanzo Crash del 1973 da cui è tratta la pellicola, ci dice che la
riduzione di Cronenberg comincia proprio dove finiva il suo racconto, e che la
sostanziale differenza è l’accettazione da parte dei personaggi del film
dell’universo di Vaughan, efficacemente definito dal letterato con un qualcosa
tipo ‘scienziato teppista’.

Se l’intento autobiografico di Ballard è
evidente, il protagonista del libro ha il suo nome, Cronenberg sposta il
riferimento sull’oggetto che nel romanzo ne era il polo magnetico, Vaughan
appunto. E se è vero che il personaggio Ballard nel film fa, come detto, il
produttore cinematografico – il che potrebbe farlo intendere come ideale alter
ego del regista – è altresì palese che non sembri molto coinvolto nel suo
lavoro che oltretutto non dà, per quel che si può vedere, l’impressione di
essere qualcosa di importante. Al contrario, Vaughan non solo riporta in vita
momenti del mito cinematografico, l’incidente di Jayne Mansfield – o della
Storia – l’auto su cui fu ucciso John Fitzgerald Kennedy – ma svela
l’intreccio, la connessione, tra il cinema e la vita reale: il lavoro di un
regista, insomma.

Nella sua replica dal vero dell’incidente di James Dean,
Vaughan mischia la cronaca di quel tragico schianto con la Chicken Run vista
in Gioventù Bruciata (1955, regia di Nicholas Ray), ricordando come il
cinema sia un’anticipazione profetica della realtà. E Crash è infatti
una sorta di profezia, una profezia lacera e sporca, per usare ancora le parole
di Vaughan. Lacera come i corpi dei personaggi, percorsi da ferite e cicatrici,
come quello di Gabrielle (Rosanna Arquette, bellissima), ormai un mezzo
androide visti i tanti innesti meccanici, o sporchi come i pensieri di Helen
Remingotn (Holly Hunter, tosta come suo solito), maniacale nel guardare e
riguardare al rallentatore le videocassette con gli incidenti, manco fossero
film porno.
A proposito di pornografia: un altro aspetto da
mettere sul tavolo sono le reazioni del tempo all’uscita di Crash,
considerato che il film è tutto tranne che provocatorio. Si, è vero, ci sono
molte scene di sesso, ma trattate come se Cronenberg le stesse guardando al
microscopio, come se ad accoppiarsi fossero delle specie di insetti dei quali
ci è impossibile scorgere eventuali sentimenti emotivi. Ciononostante, ovvero
nonostante la messa in scena estremamente fredda – ma in qualche caso anche
proprio per via di questa – le reazioni al film furono clamorose: dalla Gran
Bretagna a Napoli, rappresentanti delle istituzioni tuonarono contro il
lungometraggio, mentre numerosi critici nostrani lo stroncarono senza appello.
Per dovere di cronaca, va detto che Crash si guadagnò al Festival di
Cannes del 1996 il Premio della Giuria, pare con conseguente scorno del
presidente della stessa, Francis Ford Coppola, totalmente contrario al lavoro
di Cronenberg. Così come si ricordano i fischi all’indirizzo del canadese, mentre
sul palco della cittadina francese ritirava il premio, ma del resto si è
anticipato che Crash non è che sia un film che strappi gli applausi
dalle mani. Stavolta non è tanto rozza fantascienza, come buttato lì nei
dialoghi del film, una definizione che potrebbe essere adeguata per i primi
film del canadese; al contrario, sotto un certo aspetto, Crash è
addirittura raffinato, ultra-raffinato, come evidenziato dagli eterei e cromati
titoli di testa.
O come la prima scena di sesso, con Deborah Unger – è
Catherine Ballard, la compagna del protagonista – che in calze di nylon e
fisico tonico e scolpito, ricorda Kim Basinger in 9 settimane e ½ (1986,
di Adrian Lyne) o qualunque calendario erotico degli anni Ottanta. La scena di
Catherine che va a trovare James all’ospedale, con le coperte che
opportunamente segnano il confine per non scadere nel pornografico esplicito, è
un altro esempio, nonostante poi Crash sia stato anche accusato di
esserlo, pornografico. E, in effetti, è un’accusa in qualche modo inerente: la
pornografia centra eccome perché è quella che praticano continuamente i
personaggi del film. Dell’interesse perverso per gli incidenti si è accennato.
E poi, in fondo, i rapporti sessuali senza amore, passione, trasporto o
sentimento che scandiscono il racconto, come potrebbero essere definiti?
Ginnastica meccanica? Pornografia, in senso letterale, stando a Treccani.it
significa:
“trattazione o rappresentazione (attraverso scritti, disegni,
fotografie, film, spettacoli, ecc.) di soggetti o immagini ritenuti osceni,
fatta con lo scopo di stimolare eroticamente il lettore o lo spettatore” ed
è evidente che non è l’intento di Cronenberg. Però è quello dei personaggi del
film: la scena in cui i Ballard fanno sesso fantasticando di veder coinvolto
Vaughan è la dimostrazione che stanno inseguendo il desiderio, qualcosa che li
ecciti. In quel passaggio, con un dialogo piuttosto esplicito e diretto,
Catherine immagina e racconta di un rapporto tra i due uomini, James e Vaughan,
dal momento che pur di provare piacere si cerca qualunque strada, anche quella
omosessuale.

L’approccio di Cronenberg all’omosessualità, come si era già visto
nei suoi precedenti film, è molto neutro, molto distaccato: in questo caso
sembra un diversivo nel momento in cui l’attrazione per l’altro sesso, per
routine, per ripetitività, per noia, ha perso interesse. Ma, in fin dei conti,
nonostante qualche scintilla tra Ballard e Vaughan si avverta, anche il sesso
omosessuale, come quello etero, a lungo andare perde forza. Ed è in questo
contesto che si innesta il tema degli incidenti stradali: l’adrenalina, la
paura, sono scosse di vita che possono riattivare il desiderio. Ma non il
desiderio di vita, di sopravvivere; il discorso di Cronenberg è più cerebrale
che emotivo. Il sesso è naturalmente connesso con la riproduzione; l’uomo,
però, nella sua evoluzione, ha scoperto che dà piacere di per sé stesso, e semmai
la riproduzione è una conseguenza. Qui sono cominciati i problemi culturali: ad
esempio, la religione cristiana ha insistito, e insiste, sullo stretto
collegamento delle due cose. Inoltre, morale e costume, cercano di ingabbiare
la forza del desiderio all’interno di categorie quando, nella realtà, essa è
molto più variegata e liquida. Tutto questo si è già visto, nel cinema di
Cronenberg. Cosa porta di nuovo
Crash, nella poetica dell’autore di
Toronto? Forse il cercare il modo, per l’individuo, di uscire dalle grinfie
della società, una società che controlla ogni cosa, ogni azione, ogni pensiero,
anche nell’ambito privato, anche in quello sessuale. In Crash, le
immagini panoramiche urbane, che spesso in Cronenberg avevano riguardato
edifici e complessi architettonici, stavolta sono dedicate a svincoli con
decine di corsie, con il costante flusso di automobili. L’individuo si illude
di guidare ma è semmai costretto lungo i sinuosi percorsi guidati delle
carreggiate autostradali. E’ un’efficace metafora della capacità persuasiva
della società che induce in ognuno un pensiero che segua questa o quell’etica
ma non lascia praticamente più il libero arbitrio. 

C’è sempre una cosa giusta e
una sbagliata e la scelta da fare è obbligata; naturalmente per il bene
dell’individuo. Siamo negli anni Novanta, le cinture di sicurezza non sono
ancora divenuto quel dispositivo ovvio e scontato che è oggi e, nel film,
vediamo i personaggi che, anche per via delle loro malformazioni, conseguenze
degli incidenti, armeggiano per mettersele. E’ anche questo un piccolo segnale
di come la società si prodighi per convincere ogni individuo alla tutela della propria
salute e sicurezza; così come i poliziotti che intervengono per interrompere
gli spettacoli di Vaughan, perché mettono a rischio vite umane. Non c’è nessuno
scampo, per l’individuo, neanche il sesso, che in fondo è già stato
metabolizzato dalla società, nonostante la reazione della critica e del
pubblico a
Crash. E, a questo proposito, è interessante il punto di vista
del critico Luigi Pintor che Gianni Canova nel suo Castoro Cinema riporta: “Se
si trattasse di questo [la pornografia e l’osceno] sarebbe tutto in
regola” riferendosi al film di Cronenberg. Non è, quindi, vedere scene di
sesso gratuito a disturbare. Ed è proprio nelle parole di Pintor che si può
capire perché il sesso, prima o poi, anche quello strano, bizzarro, estremo,
sia destinato a venire a noia. Non ci sono tante alternative, quindi.
All’inizio del film, mentre James Ballard e Catherine si raccontano a vicenda
le proprie scappatelle extraconiugali, l’uomo si lamenta di essere stato
richiamato sul set nel momento meno opportuno. La donna si dispiace e commenta
il mancato orgasmo del marito “Povero tesoro, forse la prossima volta…”
Le stesse parole che stavolta James sussurra alla
moglie sopravvissuta all’incidente con cui si chiude il film. Perché Crash
ci dice che, per l’individuo cronenberghiano, nella società odierna, l’unico
orgasmo, l’unico piacere, è poter morire in modo traumatico e fuori da ogni
tentativo di controllo. L’unico modo per sentirsi vivo è schiantarsi in uno
scontro dentro un’automobile, beffardamente nel e grazie al simbolo per antonomasia
della società moderna. Ci hanno insegnato che il sesso permette di vincere la
morte. Forse mentivano. Perché la morte è il vero sesso.
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