1739_L'ULTIMO DEI MOHICANI (The Last of the Mohicans), Stati Uniti 1992. Regia di Michael Mann
È buio, nella foresta; del resto l’oscurità attanaglia ripetutamente le superbe immagini dello splendido L’ultimo dei Mohicani firmato da Michael Mann. Siamo ancora nella prima parte, Cora Munro (Madeleine Stowe, più bella e intensa che mai) ha sentito il bisogno di venire a scusarsi con Nathaniel «Occhio di Falco» (Daniel Day-Lewis, nella sua interpretazione più iconica), appostato di guardia al bivacco. In precedenza lo aveva accusato di scarsa sensibilità, per aver lasciato senza sepoltura alcuni coloni trucidati dagli Uroni; in realtà era stato puro spirito di sopravvivenza. In buona sostanza, Cora, sua sorella Alice (Jodhi May) e il maggiore Duncan Heyward (Steven Waddington) dovevano la vita a Nathaniel e ai suoi parenti Mohicani, il padre adottivo Chingachgook (Russell Means) e il fratello di sangue Uncas (Eric Schweig). Non c’era tempo per seppellire i morti, non con i ferocissimi Uroni nei paraggi: questo era il motivo di quella scelta apparentemente irrispettosa. La replica di Nathaniel alle scuse della ragazza è comunque dura: “E beh, c’era da aspettarselo. Mio padre, Chingachgook mi aveva avvertito sulla gente come voi”. Cora, sorpresa e risentita, prova a controbattere: “Ah, davvero!?”. Occhio di Falco prosegue con voce ferma “Ha detto: non tentare di capirli. Non tentare di fare in modo che capiscano te. È così perché loro sono una razza diversa, quindi è inutile”. Intanto, sono arrivati gli Uroni che si aggirano minacciosi e il dialogo si interrompe; ma è solo una breve pausa, perché siamo in “terra di sepoltura”, sacra secondo le credenze indiane, e gli aggressori si ritirano senza colpo ferire. Nonostante il pericolo scampato, Cora non ha ancora smaltito la rabbia per le parole ascoltate: “Una razza diversa e inutile!” si rivolge con risentimento a Nathaniel. L’uomo, che comincia ad essere influenzato dalla personalità della ragazza che rivaleggia con la sua bellezza, si rivela inaspettatamente comprensivo: “Nel vostro caso posso fare un’eccezione”.
A questo punto è chiaro che Michael Mann, il regista, e Christopher Crowe, cosceneggiatore con lo stesso Mann, tra le varie modifiche al testo originale, il romanzo di John Fenimore Cooper, abbiano deciso di inserire una storia d’amore tra i due attori principali del film. A questo proposito, almeno stando ai titoli di testa, ad ispirare Michael Mann, più che il romanzo fu la sua riduzione cinematografica del 1936, intitolata nella versione italiana Il re dei pellerossa. [The Last of Mohicans, George B. Seiz, 1936]. Tornando alle eccezioni, in ogni caso, sono già due, perché Nathaniel è lui stesso un’altra eccezione: si presenta come un Indiano, un Mohicano per la precisione, e lo è, ma la sua origine è bianca. Cora, al contrario, è inglese purosangue ma, proprio stando alle sue parole, in quel sangue è entrato istantaneamente il fuoco della Frontiera. Mann e Crowe, in sostanza, colgono e rilanciano lo spunto di Kevin Costner e del suo al tempo recente Balla coi Lupi [Dance with the Wolfes, Kevin Costner, 1990]: alla civiltà occidentale, per salvarsi, occorre recuperare l’armonia con la Natura che caratterizzava i nativi americani.
Per gli Indiani, anche nel film di Mann, non c’è alcun futuro, del resto il titolo L’ultimo dei Mohicani è abbastanza esplicito in tal senso. Le parole di Occhio di Falco sono però pesanti e molto significative, sebbene nel proseguo del film vengano sostanzialmente smentite dallo stesso Nathaniel. Con Cora riesce a capirsi eccome, infatti; ma come detto, si tratta di un’eccezione anzi, di più eccezioni e, quindi, altamente improbabili nella normalità. In effetti Alice, contesa da Magua (Wes Studi, straordinario come suo solito) e da Uncas, morirà proprio come i suoi due pretendenti. Uno dei temi sottesi de L’ultimo dei Mohicani è la possibile integrazione tra persone di culture diverse, un argomento che, agli inizi degli anni 90, con il Mondo non più diviso dalla Cortina di Ferro e aperto alle future migrazioni bibliche, era caldissimo. Gli Stati Uniti, nel 1992, erano la potenza egemone assoluta del pianeta, nonché un perfetto campione della società multirazziale che si andava creando; il Melting Pot, in effetti, era una definizione molto in voga utilizzata per descrivere la popolazione cosmopolita dell’America. Le teorie progressiste vedevano in questo un superamento degli interessi particolari a favore di una visione più complessiva, più universale. Il ricorrere alla cultura dei nativi americani e al loro approccio spirituale alla vita, era quindi un segno in questa direzione, che tanto Costner quanto Mann avevano voluto dare.
Ma se lo sguardo di Balla coi Lupi è malinconico, quasi che Costner si rendesse conto che il suo più che un moto di speranza era un’espressione di rammarico, di rimpianto, Mann prova a scavare più a fondo. L’ultimo dei Mohicani è, in effetti, uno sguardo molto più profondo e intenso rispetto a Balla coi Lupi e, per questo, molto più angosciante. La confezione formale del film è eccezionale: del resto Mann, con una curiosa analogia con Anthony Mann, del quale non è peraltro parente, è un maestro nell’utilizzare il grande schermo quasi con una sorta di montaggio interno all’inquadratura. Le immagini del film, grazie alla fotografia di Dante Spinotti, sono di notevole impatto e il montaggio è in grado di sostenere la narrazione con strappi e pause di grande respiro. Un discorso a parte lo merita il comparto audio: eccellente il sonoro, premiato del resto con il premio Oscar (a Chris Jenkins, Doug Hemphill, Mark Smith e Simin Kaye) ma sono le meravigliose musiche di Trevor Jones e Randy Edelman a rimanere più nel cuore che nelle orecchie. Mann inserisce un’esplicita pista politica, con i coloni Americani che spesso scelgono di vivere nelle pericolose terre di frontiera, lontani cioè dal giogo della corona britannica, per poter essere liberi. Ai tempi delle Guerre di Frontiera, storicamente, gli interessi dei coloni coincidevano con quelli dell’Inghilterra e il nemico comune era la Francia e gli Indiani suoi alleati, Algonchini e Uroni. Ma, nel tratteggiare i vari elementi sullo scacchiere geopolitico, Mann opera abilmente strumentalizzandoli a proprio comodo, per adeguarli ad una metafora che risulti attuale. I coloni americani rappresentano le classi sociali inferiori della nostra società mentre gli Inglesi sono l’élite egemone del Capitalismo, la borghesia.
Proprio come accadde agli arbori della società capitalistica moderna, la borghesia convinse le classi meno abbienti ad affiancarla nella lotta contro il vecchio potere, la nobiltà, che nel film di Mann è rappresentato dalla Francia. Le conferme che questa chiave di lettura è valida sono più d’una: dai salamelecchi in cui si spreca il generale francese de Montcalm (Patrice Chéreau) che lo evidenziano come uomo d’altri tempi rispetto alla fredda efficienza del suo nemico inglese il colonnello Munro (Maurice Roëves). De Montcalm non è certamente un personaggio positivo, interessato com’è a difendere i privilegi francesi nella regione, eppure Mann non si accanisce nel descriverne il carattere: il maggiore è infatti un uomo di parola, ragionevole e magnanimo nei confronti del nemico sconfitto. È un aristocratico nel senso nobile del termine: è abituato a comandare lasciando ai suoi sottoposti la possibilità di sopravvivere. Al contrario, gli Inglesi sono lo specchio del capitalismo rampante che non ha alcuna pietà nei confronti di chi ostacola i suoi interessi. Questa indole spietata determina anche il venir meno dei valori tipici cavallereschi come l’onore, il rispetto per l’avversario, la fedeltà alla parola data o la sincerità. La pubblicità, la vera arma finale del sistema economico capitalistico, fa della menzogna il proprio verbo assoluto e lo possiamo sperimentare quotidianamente. La doppiezza degli Inglesi ritorna più volte nel film, sia da un punto di vista verbale che figurato. La prima bugia si lascia solo intuire ma è palese: inizialmente, per convincere i coloni americani ad unirsi alla guerra contro i Francesi, gli Inglesi promettono loro concessioni sapendo che non le avrebbero rispettate. Il maggiore Duncan Heywards, che avrà poi modo di riscattare a livello personale il proprio nome, concretizza la falsità degli Inglesi nel confronto con il colonnello Monroe e Nathaniel, mentendo spudoratamente.
Ma l’ambiguità della Corona Britannica è resa anche figurativamente da Mann con un paio di splendide scene, la prima delle quali è l’attraversamento di un fiume da parte di un convoglio di soldati, con l’immagine che si specchia nell’acqua rivelando la natura doppia degli Inglesi. Poco dopo, abbiamo un altro esempio della capacità del regista americano di utilizzare lo schermo con una sorta di montaggio interno, protagonisti ancora i militari inglesi in divisa rossa. Lo schermo appare diviso a metà stavolta verticalmente: sulla parte destra assistiamo ai soldati della fanteria che si allontanano incolonnati, mentre sulla sinistra altri a cavallo stanno avvicinandosi. Nella stessa inquadratura abbiamo di fatto i militari britannici che fanno due cose totalmente contrapposte, specchio della natura doppia e ambigua dell’Inghilterra. Riassumendo: nel paragone di Mann –che è in realtà una metafora fin troppo realistica– gli Inglesi del film rappresentano la borghesia del Capitalismo, i Francesi la nobiltà decadente e destinata alla sconfitta e le colonie americane sono il cosiddetto «Quarto Stato». E gli Indiani, a cui, in sostanza il film è in buona parte dedicato? Gli Indiani sono tutto ciò che non è contemplato dal Sistema Capitalista. Quindi la Natura, che per la civilizzazione è sempre stata ed è tuttora unicamente un ostacolo al progresso, e tutti quei popoli, come i nativi americani, che, contrariamente all’uomo bianco, ci vivono in armonia. Si potrebbe azzardare che la Natura, di cui gli Indiani sembrano i sacerdoti, possa avere, nella figura retorica del film, il ruolo sacro. In effetti, nella metafora di Mann e Crowe che si rifà grosso modo al quadro sociale emerso dall’Assemblea Nazionale Costituente del 1789 –dove si concretizzò la figura del «Quarto Stato» costituito di ceti sociali più poveri ed esclusi dalla convocazione– manca proprio il «Primo Stato», la Chiesa. Certo l’interpretazione del ruolo religioso da parte dei nativi americani non è da intendersi in senso canonico della tradizione europea, ma che la cultura degli Indiani fosse intessuta di spiritualità è fuori discussione e lo si evince anche dal film di Mann, ad esempio dal citato passaggio in cui gli Uroni non osano profanare il terreno di sepoltura. Le tre figure retoriche del film rappresentano la parte finale dell’evoluzione capitalista: il potere è passato dall’Aristocrazia alla Borghesia con il Quarto Stato che oggi crede di essere più libero di quanto non realmente sia, in virtù dei benefici che la nuova classe egemone gli concede. Per uscire da questo giogo, che è ancora oggi esattamente quello mostrato ne L’ultimo dei Mohicani, occorre recuperare i valori morali ed etici, in una parola, religiosi. Per questo L’ultimo di Mohicani è un film che sembra ambientato in un’enorme e oscura cattedrale gotica: buia, certo, ma nella quale il gioco della luce è fondamentale. Per questo la musica ha qualcosa di potentemente mistico, commovente ed intensa ma senza essere triste o malinconica come in Balla coi Lupi. Per questo Nathaniel Occhio di Falco è una figura cristologica nonostante a sacrificarsi siano suo fratello Uncas, la povera Alice o il redento maggiore Heywards: più volte, nel film, lo vediamo mettere la sua vita in gioco per gli altri. Ma, nonostante il film finisca con un funerale, altro momento religioso del racconto, questo non è il “buon giorno per morire” che si augurava Cavallo Pazzo dei Sioux. È tardi ma forse non è ancora detta l’ultima parola, anche se manca poco tempo e, forse proprio per questo, Nathaniel è sempre di corsa, nel film. Negli anni 90, insomma, si aveva l’impressione che non tutto fosse perduto, che ci fosse ancora speranza, almeno per un’eccezione. A patto di avere fede, una fede forte, mistica, religiosa: per questo L’ultimo dei Mohicani ha l’intensità di una preghiera.
Madeleine Stowe
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