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giovedì 26 ottobre 2023

DEATH TRAP

1381_DEATH TRAP . Regno Unito 1962; Regia di John Llewellyn Moxey.

Dopo un paio di apprezzabili lungometraggi per il cinema e le prime esperienze con la televisione nei telefilm, John Llewellyn Moxey si cimenta con il film televisivo, nella serie The Edgar Wallace Mysteries. La serie di film era cominciata due anni prima e nell’ottobre del 1962, quando Death Trap [Trappola Mortale] andò in onda si era già consolidato un certo stile che tutto sommato l’episodio di Moxey non smentisce. Anzi, a ben vedere Death Trap da un certo punto di vista è una detective story perfino un filo troppo compassata, dove il colpevole è il personaggio su cui si puntano sin da subito gli indizi, ovvero Paul Heindrik (Albert Lieven), e questo non è di grande aiuto per la suspense. Tuttavia l’incastro narrativo ha una sua struttura che Moxey è bravo a sostenere con una regia discreta e qualche spunto interessante. Ad esempio è molto efficace la scena dell’investimento con l’auto di Ross Williams (John Meillon), di notte, su una strada extraurbana sotto una pioggia scrosciante. In questa scena il regista sfodera un talento visivo che va ben oltre la normale routine televisiva. Efficaci anche le immagini della testimone, che assiste atterrita sull’auto che aveva portato Ross fin lì, parcheggiata tra la vegetazione: l’uomo doveva incassare il pagamento di un ricatto ma è stato saldato in ben altro modo, lasciandoci le penne. Jean, la ragazza in questione, è interpretata da Barbara Shelley, icona del cinema horror che non delude le attese sebbene con una prestazione più ordinaria rispetto ai ruoli che l’hanno resa celebre. In effetti Jean è un personaggio singolare: è la segretaria di Heindrik, di cui ascolta segretamente le conversazioni d’affari con l’interfono dell’ufficio, briga per favorire una rivalsa da parte di Ross – licenziato in precedenza dall’uomo d’affari – ma non è del tutto complice nel suo tentativo di ricatto. Tentativo che, come detto, finisce con Ross steso sull’asfalto sotto la pioggia nella citata scena dell’investimento notturno, con l’autista che rimane misterioso ma fino ad un certo punto. Tornando alle stranezze di Jean, ha confidenza con Derek (Kenneth Cope), nipote di Heindrik, ma la pista sentimentale non è esplorata a dovere e allora anche il suo ruolo non è del tutto chiaro: tuttavia il fascino della Shelley giustifica le sue apparizioni sullo schermo. Ben più bizzarra quella che si concede Barbara Windsor, al tempo in rampa di lancio e non ancora famosa come The Queen of Carry on o altri soprannomi con cui la starlette divenne nota nel Regno Unito. Qui la biondina tutta curve si diverte con Moxey a citare – in modo scherzoso, sia chiaro – la scena della doccia di Psyco; curioso che ad un regista tutto sommato attento alla forma come Moxey sfugga che si intravveda l’asciugamano pudicamente avvolto intorno al corpo della ragazza sotto la doccia, ma tant’è. La Windsor non incanta di certo, in questa scena, ma è certamente stramba, vagamente sexy e, a suo modo, ironica. Più divertente, di sicuro, la spassosa entrata in scena del vagabondo (Richard Bird) che ritrova l’auto dispersa e pretende la ricompensa. Nel cast è presente anche Mercy Haystead nei panni di Carol, una ragazza la cui sorella Heindrik aveva truffato per poi farla fuori con un cocktail di alcol e barbiturici, intrigo che dà il via alla storia. Meno interesse sembra invece avere il film – e Moxey, quindi – per i poliziotti, per quanto Leslie Sands e Barry Linehan e cerchino di essere simpatici oltre che efficienti. Ma nemmeno loro riescono ad incidere in una storia che, alla fin fine, si assesta su una sufficienza di ordinaria routine.    



Barbara Shelley 


Barbara Windsor 


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martedì 24 ottobre 2023

LA CORDA DI SABBIA

1380_LA CORDA DI SABBIA (Rope of Sand). Stati Uniti 1949; Regia di William Dieterle.

Hal B. Wallis, dichiarò pubblicamente che, con La corda di sabbia, cercava di rinverdire i fasti di una sua precedente produzione, Casablanca (1942), il grande classico di Michael Curtiz. Probabilmente il buon Wallis aveva messo nel mirino Humphrey Bogart e Ingrid Bergman, le star della pellicola, ma di quel capolavoro si dovette accontentare dei comprimari, Claude Reims, Peter Lorre e Paul Henriet. Siamo in Sud Africa e La corda di sabbia del titolo è una striscia di terreno fortemente desertico che aiuta a delimitare la ‘zona proibita’, un’area ricca di diamanti sulla quale le autorità coloniali non vogliono mollare la presa. Infatti, nel caso si riesca a superare il deserto, bisognerà fare i conti con feroci guardie armate assai determinate. La regia del film è affidata al valente William Dieterle che, subito in apertura, dà sfoggio di una mirabile sequenza con un inseguimento di un nativo che prova a scappare a piedi, tra le dune di sabbia, inseguito dai mezzi cingolati della milizia. La scena è un pezzo di bravura di Dieterle, qui ad uno dei suoi ultimi spunti interessanti di una gloriosa carriera, e si avvale dell’ottima fotografia di Charles B. Lang Jr. e delle potenti musiche di Frank Waxman, che ci mettono subito sull’avviso: se non siamo all’inferno, ci manca poco. I tre attori citati e presi dal cast di Casablanca sono anche stavolta comprimari, sebbene di notevole calibro, a cominciare da Claude Reims: il suo Mr. Martingale è un curioso uomo d’affari, senza scrupoli, come tutti i ricchi colonialisti del tempo, ma con un suo personalissimo gusto dell’onore. Nel dar vita a questi ambigui personaggi Claude Reims è insuperabile. 

Paul Henriet è invece Vogel, il comandante della polizia: un uomo sadico e di scarso valore, che utilizza il posto di rilievo che occupa per dispensare angherie e arricchirsi spudoratamente. Peter Lorre è Toady, ricettatore e losco faccendiere che, per la verità, ha un ruolo troppo marginale. Peccato. Il protagonista del film è Mike Davis, cercatore di diamanti e guida per turisti in cerca d’avventura, interpretato da un aitante Burt Lancaster in quella che lo stesso attore americano ritiene la sua peggior performance sullo schermo. Sarà, ma, a guardare La corda di sabbia, né la prestazione di Burt, né tantomeno il film nel suo complesso, suscitano impressioni così negative, anzi. La storia è semplice ma, trattandosi di un noir esotico/avventuroso, questo non rappresenta certo un problema: in sostanza Mike aveva trovato un luogo, all’interno della zona proibita, zeppo di diamanti. 

Malmenato e torturato da Vogel, non ne aveva rivelato l’ubicazione ed era infine stato scacciato dal paese. Dopo un paio d’anni era tornato e, se anche avesse avuto altre idee, il benvenuto del capo della polizia lo riporta immediatamente all’ingiustizia subita. Vogel lo intercetta infatti quando Mike non è ancora sceso dalla nave e, spalleggiato dai suoi gendarmi, lo maltratta che ancora non ha messo piede sulla terraferma. Il cercatore di diamanti è un tipo sanguigno: fosse stato anche disposto a sorvolare sul passato, a questo punto si riprenderà i suoi diamanti, costi quel che costi. Intorno a questa caccia al tesoro, si snoda la storia imbastita da Dieterle e dai suoi collaboratori: bar, locali notturni, ricevimenti in eleganti dimore, ma anche avvincenti scene negli spettacolari esterni, girate nel deserto di Yuma, negli Stati Uniti; insomma, tutto il campionario tipico del caso. Lancaster è il solito trattore umano, capace di portare avanti qualunque storia in qualunque situazione, e anche questo è un solido elemento di garanzia. Per essere un noir che si rispetti, manca da citare la dark lady della vicenda e qui c’è forse il tasto un po’ dolente dell’operazione. Già il personaggio di Suzanne Renaud si rivela troppo tenero, per ambire al ruolo di femme fatale, ma, ad affossare definitivamente la sponda sentimentale del film, è proprio la scarsa consistenza della pur simpatica Corinne Calvet, l’interprete chiamata per impersonarla. L’attrice francese è certamente carina e anche di buona presenza, ma manca completamente del necessario glamour hollywoodiano per reggere il ruolo della dark lady in un noir. Oltretutto, di questa cosa dovevano essere consapevoli anche gli autori, tanto che il suo personaggio è preso ripetutamente a pesci in faccia – metaforicamente parlando, sia chiaro – sia da Mike che da Martingale. Nel lieto fine, chiede a Mike quasi supplicando “davvero non mi ami?”, che svilisce anche la sua uscita di scena. Con una presenza femminile così poco affascinante, l’aspetto noir del film è depotenziato e La corda di sabbia finisce per essere piuttosto un appassionante racconto d’avventura. La rabbia di Lancaster nel deserto, che si scazzotta furibondo contro Henriet, è uno dei punti di forza del film. Ma il pezzo davvero indimenticabile è quando Mike distrugge deliberatamente, e per dispetto, un preziosissimo vaso nell’elegante casa del capo della polizia. Anche gli eroi hollywoodiani hanno le loro debolezze.  





Corinne Calvet 




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domenica 22 ottobre 2023

IL DELINQUENTE DEL ROCK AND ROLL

1379_IL DELINQUENTE DEL ROCK AND ROLL (Jailhouse Rock). Stati Uniti 1957; Regia di Richard Thorpe.

Si dice che Il delinquente del Rock and Roll sia uno dei film preferiti dai suoi fans tra quelli interpretati da Elvis Presley. Va precisato che la carriera cinematografica del Re del Rock and Roll non è lontanamente paragonabile a quella musicale; tuttavia Jailhouse Rock, questo il titolo originale, è un onesto film. Ma non troppo più di questo; molto probabilmente, Stella di Fuoco (1960, regia di Don Siegel), restando tra i film di Elvis, è più riuscito e completo. Ma va detto che, in quello di Siegel, l’apporto musicale di Presley era, se non proprio relativo, non più che complementare al soggetto. Ne Il delinquente del Rock and Roll, per quanto Richard Thorpe abbia una mano solida in regia, l’importanza della musica è già più importante, nel computo generale dell’opera. In questo senso, nell’ottica che assunse il genere in sé, Il delinquente del Rock and Roll è quindi più significativo. Con gli anni Cinquanta, infatti, la musica leggera aveva acquisito, presso il grande pubblico, un favore sconosciuto in precedenza; al cinema, nel genere musicale, si era sviluppata una corrente che fungeva semplicemente, e dichiaratamente, da pretesto per vedere gli idoli delle folle sul grande schermo. Fu un fenomeno mondiale e non solo americano, si pensi agli italiani musicarelli, e Elvis Presley fu il caso più clamoroso tanto che i film che erano incentrati sulle sue canzoni vennero definiti, in modo non troppo lusinghiero, per la verità, Presley Movies. Lo stesso Elvis non fu particolarmente entusiasta della sua carriera cinematografica; tuttavia questa eccessiva deriva commerciale, con i film che erano divenuti un mero strumento all’industria musicale, arrivò col tempo. 

Il delinquente del Rock and Roll è solo il terzo film di Elvis Presley e, come detto, Richard Thorpe riesce a tenere la barra sufficientemente dritta. Il racconto filmico ha quindi una sufficiente struttura narrativa e Elvis, oltretutto, seppur non sia un attore provetto, si prodiga con impegno nel recitare la parte dello scapestrato, se non proprio del delinquente, come recita invece il titolo italiano. Certo, Vince Everett – il personaggio interpretato da Elvis – finisce anche in galera, ma per omicidio preterintenzionale. Ovvero, Vince, intervenuto in difesa di una donna aggredita dal marito, si era scazzottato con l’uomo che, cadendo aveva picchiato la testa ed era finito al creatore. Insomma, più un incidente che un crimine; tuttavia Elvis si sforzerà, per tutto il racconto, di rendere almeno un po’ antipatico il suo personaggio, in qualche caso perfino esagerando. In carcere Vince conosce Hunk (Mickey Shaughnessy), che lo sgrezza musicalmente oltre a insegnargli come si campa in galera. Uscito di prigione, Vince incontra Peggy (Judy Tyler), che diverrà sua agente discografica, sua socia e, inevitabilmente, sua fidanzata, anche se su questa intesa la vicenda la tirerà per le lunghe come da canovaccio sentimentale. È curioso che un film promosso evidentemente dalla casa discografica di Elvis, proponga un personaggio che si autogestisce e, oltretutto che, quando si rivolge al una società del settore, ne venga ignobilmente truffato. Nel complesso la vicenda si lascia guardare, pur non presentando particolari novità: il racconto vede la rapida ascesa del protagonista, partito addirittura dalla galera, arrivare in cima, finendo, a quel punto, per snobbare un po’ i vecchi amici, Hunk e Peggy. Qui c’è una curiosità simile a quella già citata: a far deragliare Vince dalla strada maestra è infatti il cinema, che lo seduce con gli agi, le ricchezze, i privilegi che si possono riassumere nelle grazie di Sherry (Jennifer Holden), platinata starlette di Hollywood. Quasi che, tanto la casa discografica che lo studio cinematografico, facciano mea culpa; salvo poi guardarsi bene dal perdere certe abitudini, a ben vedere. Tuttavia, nello specifico, Il delinquente del Rock and Roll non ha alcun bisogno di accampare scuse, visto che raggiunge un risultato comunque dignitoso. E poi ci sono le canzoni di Elvis, che sono, come da copione, il piatto forte del film: Jailhouse rockYoung and beautifulI want to be freeDon't leave me nowBaby I don't careTreat me nice. Tutti i brani cantati da Elvis sono imprescindibili, questo è sacrosanto, ma a livello strettamente cinematografico la prima citata, Jailhose rock, è da sottolineare anche per via della coreografia strepitosa. Spesso considerata la miglior performance musicare del Re del Rock and Roll nei suoi film è anche indicata come il primo prototipo di video musicale: ma la cosa più importante è che è bellissima.  






Judy Tyler 



Jennifer Holden 


Anne Neyland


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venerdì 20 ottobre 2023

L'URLO DEI SIOUX

1378_L'URLO DEI SIOUX (Buffalo Bill in Tomahawk Terirtory). Stati Uniti 1952; Regia di Bernard B. Ray.

B-movie del 1952 che dai fotogrammi sembra avere almeno vent’anni di più, L’urlo dei Sioux riesce, nello stesso tempo, a sorprendere per alcuni aspetti quasi in anticipo sui tempi. Il film non è un testo particolarmente rilevante, in assoluto, sebbene assolva con successo al suo obiettivo di intrattenere lo spettatore per l’ora abbondante della sua durata. Il protagonista è Clayton Moore che, in quegli anni, abitualmente, interpretava Lone Ranger nella serie televisiva degli anni Cinquanta. Qui Clayton è nei panni di Buffalo Bill e, per la verità, fatte salve alcune modifiche nell’abbigliamento e nell’aspetto – capelli lunghi e pizzetto in luogo della maschera, frange aggiunte alla camicia – il piglio è sostanzialmente lo stesso dei telefilm. Al suo fianco, anziché il taciturno Tonto, troviamo Cactus, interpretato da Slim Andrew che pare la controfigura di Walter Brennan. In ogni caso, Chief Thundercloud, che era stato Tonto nel serial cinematografico degli anni Trenta, viene reclutato per dare man forte ai ranghi dei Sioux, confermando una sorta di legame tra L’urlo dei Sioux con la saga del cavaliere mascherato. Chief Thundercloud era un nativo, così come Chief Yowlachie, qui credibilissimo nel ruolo di Nuovo Bianca, il capo dei Sioux. Questo aspetto nel casting per i pellerossa, unitamente ad una trama che mette in chiaro in modo assai esplicito le ragioni dei nativi americani, testimonia l’attenzione alla Questione Indiana del film. C’è però ancora da citare, tra gli attori arruolati nella tribù al centro del racconto, Rodd Rewing, che interpreta Cervo Nero, il figlio bellicoso di Nuvola Bianca, in combutta coi cattivi. È curioso che l’indiano cattivo del film venga interpretato da un cosiddetto Pretendian – una parola che univa efficacemente i termini pretend [fare finta] e indian – essendo in realtà Rewing un afroamericano che si spacciò a lungo come nativo. Il tema del travestimento, volendo palese anche nel protagonista, è l’argomento principale del film, e questo ci mette in guardia, in sostanza, dal valutare le cose con pregiudizio. Infatti, i bianchi al soldo di Blake (Eddie Phillips), un criminale che è disposto a scatenare la guerra pur di mettere le mani sull’oro dei territori indiani, compiono le loro scorrerie mascherati da Sioux. Dal canto loro i soldati del tenente Bryan (Charles Harvey), si camuffano da donne per tendere una trappola agli scorridori. E, anche questo passaggio, sembra avere un significato ulteriore, seppure di marca ironica: i soldati vestiti da donne sono inguardabili, ma perlomeno provano a mettere un po’ di quantità laddove manchi la qualità, visto lo scarso fascino delle ragazze presenti nel film. Janet (Sharon Dexter), la fidanzata del tenente, fa la preziosa ma è davvero scialba; a quel punto, quasi meglio la corpulenta Maria, la cuoca indiana (Helena Dare), che flirta con Cactus e, con una metafora involontaria, ribadisce che, nel film, a proposito di donne, si punti sulla quantità. Ma non sarebbe giusto chiudere così a proposito di un film tutto sommato carino e, allora, meglio ricordare i passaggi musicali, con alcune interpretazioni di canzoni popolari davvero apprezzabili.  


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