1316_CHI VUOLE UCCIDERE MISS DOUGLAS? (The Seduction). Stati Uniti,1982; Regia di David Schmoeller.

La bellissima protagonista, Jamie Douglas (Morgan
Fairchild al massimo splendore), entra nella sua camera completamente assorta
nella lettura di una missiva e comincia a spogliarsi. Chi vuol uccidere miss
Douglas? – titolo italiano un po’ fuorviante per il bel film di David
Schmoeller – è già arrivato circa a metà del suo percorso; Derek (un untuoso
Andrew Stevens) è lo stalker di Jamie e si è furtivamente introdotto
nell’abitazione della sua vittima, ed ora è nascosto nell’armadio. Sul tavolo
da trucco ha lasciato un significativo ricordo: un carillon che aveva regalato
alla ragazza, e che lei aveva gettato via rompendolo, con inserita una foto di
Jamie, dopo averne strappato via l’immagine del fidanzato. Derek vuole godersi
il momento in cui Jamie troverà il carillon, scoprendo che il suo molestatore è
stato lì, nella sua camera da letto. Anche se, stando alla citata Sindrome di
De Clerambault, più che uno stalker, il ragazzo si ritiene uno spasimante che
miss Douglas lascia semplicemente sospirare un po’ troppo prima di concedersi.
In ogni caso è convinto che, una volta rotto il ghiaccio, Jamie non potrà che accettare
di buon grado il fatto che siano fatti uno per l’altra. Intanto la bella
annunciatrice televisiva continua a spogliarsi, tiene gli occhi sulla lettera e
non si accorge del regalo di Derek posato sul tavolo della specchiera. Come
accennato, la Fairchild nel 1981 era la perfezione fatta bellezza, e il povero
Derek chiuso nell’armadio ha il suo bel daffare per resistere allo spettacolo.

Quando ecco che Jamie si avvicina all’anta e Derek si schiaccia contro la
parete della cabina armadio per non essere visto, letteralmente terrorizzato. Chi
vuol uccidere miss Douglas? è del 1982 e non è certo la prima volta che
sullo schermo viene mostrata la natura debole di chi poi finisce per ricorrere
alla violenza però nel film di Schmoeller queste dinamiche emotive sono
visibili in modo esemplare. Merito di Andrew Stevens, che fornisce uno stalker
viscido ma, a suo modo, si potrebbe quasi dire sincero; ma la funzionalità del
film si fonda soprattutto sulla prestazione di Morgan Fairchild, all’epoca
addirittura nominata ai Golden Raspberry Awards come peggior attrice e peggior nuova
stella. In realtà Morgan è semplicemente perfetta e non solo dal punto di vista
anatomico. Anzi, un po’ a sorpresa, se l’attrice se la cava con disinvoltura
nelle scene in cui deve interpretare la ragazza bella e di successo – come
accennato è un’annunciatrice del telegiornale e vive nel suo mondo da favola tipico
di Hollywood Hills – è quando viene presa di mira dal molestatore che fornisce
una prestazione super. Dapprima cerca di dissuadere con gentilezza Derek, poi
si fa sempre più decisa ma, contemporaneamente, comincia a venirle qualche dubbio
su come scoraggiare l’impertinente corteggiatore. Il fidanzato Brandon (Michael
Sarrazin), perde invece ragionevolmente in fretta la pazienza, a fronte delle
continue insistenze di Derek; ma Jamie non vuole ricorrere alla violenza,
sebbene si mostri sempre più turbata. Il clima di tensione si alza, si arriva
alla citata scena con l’intrusione dello stalker in casa della Douglas che
finisce con una lezione a suon di cazzotti di Brandon nei confronti di Derek.

Che, peraltro, non si scoraggia, anzi. Con Jamie sempre più sotto pressione, il
fidanzato giornalista si rivolge all’amico Maxwell (Vince Edwards), un
ufficiale di polizia. Il quale, però, non può fare molto, visto che, all’atto
pratico, Derek ha fatto ben poco di illegale, al di là della violazione di
domicilio. Prima di perdere a sua volta la pazienza, ma nei confronti di
Brandon che insiste per avere protezione per Jamie, Maxwell consiglia comunque l’amico
di procurarsi un’arma da fuoco. Questo passaggio sembra, in effetti, un tantino
forte ma la storia si sofferma a spiegare meglio il punto di vista del
poliziotto: non è una legittimazione ad andarsene in giro armati, in sostanza,
ma l’unica soluzione a fronte di una violenza dilagante che le forze
dell’ordine, per loro natura, non possono più contenere. Il che è certo un
punto di vista discutibile, in quanto la violenza è sempre da condannare, ma,
va riconosciuto, le argomentazioni di Maxwell non sono campate per aria. Nel
complesso la questione non è affrontata grossolanamente o con superficialità,
perché c’è anche l’atteggiamento della Douglas che, dall’alto della sua
patinata esistenza, si proclama assolutamente contraria ad ogni forma di
reazione violenta agli attacchi del molestatore. La Fairchild finora ha
viaggiato ancora sul velluto: l’espressione di non volersi abbassare al livello
di un violento, rende bene l’immagine di una donna che vive un’esistenza
d’orata e può, in un certo senso, permettersi idee condivisibili ma un filo
utopistiche.


In seguito, quando il gioco si fa davvero duro, l’aspetto elegante
e raffinato di Morgan è perfetto per incarnare la vittima ideale di uno
stupratore e, in effetti, le prime reazioni di miss Douglas rispettano il
cliché della damsel in distress. Ma, a più riprese, e con sempre maggior
vigore, Jamie tira fuori un nerbo insospettabile, che la Fairchild è strepitosa
nel rendere sullo schermo – alla faccia di qualunque giudice dei razzie awards
– e il film sale ulteriormente di tono. Seppure si sia ormai capito che Derek
abbia una posizione di debolezza, enfatizzata dall’impotenza del giovane quando
Jamie provocatoriamente lo sprona ad andare fino in fondo, la pericolosità
dello stalker, legata proprio a questa sua debolezza interiore, non viene
affatto sminuita. Sarà solo il puntuale intervento di Julie (Wendy Smith),
ragazza infatuata di Derek, a chiudere il conto al molestatore con il fucile a
canne mozze usato in precedenza dalla Douglas.

Proprio la Fairchild, che
imbraccia l’arma da fuoco con risolutezza, è uno dei passaggi topici del film;
quasi quanto la scena in cui ribalta il suo violentatore nel letto e lo mette a
mal partito. Chi vuol uccidere miss Douglas? è un buon thriller, e
sicuramente non è, come invece lo accolse la critica al tempo, unicamente l’occasione
per vedere le grazie senza veli di Morgan Fairchild. Certo, Morgan si spoglia,
fa il bagno nuda, si pettina più volte i vaporosi platinati capelli e tutte
quante queste cose in genere sottolineate in senso negativo. Ma nel film non
sono solo un pretesto per convincere il pubblico a pagare il biglietto ma parte
del tema affrontato. Perché la verità è che il messaggio erotico legato alla
bellezza aveva raggiunto, negli anni Settanta, già livelli altissimi, e il
desiderio che ne derivava poteva dar luogo con sempre maggior frequenza a
fenomeni come le molestie, gli approcci pesanti quando non direttamente la
violenza dello stupro.

Non che in epoche passate non ci fossero tali problemi,
sia chiaro; soltanto che ora spesso saltava fuori la questione, utilizzata come
attenuante quando non come giustificazione della violenza, della provocazione legata
all’ostentazione di messaggi erotici attraverso l’uso di abiti succinti e cose
di questo genere. Il film di Schmoeller, che mette in posizione vulnerabile una
donna che fa del suo bell’aspetto il suo biglietto da visita anche professionale,
ben fotografa questa possibile deriva. Quello che emerge è però che non ci sono
alibi che reggano: anche un personaggio pubblico che ostenta la sua bellezza e sfrutta,
mettiamola così, a suo vantaggio il desiderio che questa veicola, ha i suoi
diritti privati e il fatto che possa risultare eccitante non giustifica nessuna
molestia. E se questo riguarda una donna dall’aspetto sempre curatissimo come
Morgan Fairchild, figuriamoci tutti gli altri possibili scenari. Il film non è
che abbia la pretesa di fornire una soluzione, ma c’è perlomeno una cosa che sorprende
positivamente. E non è legata all’uso per difesa delle armi da fuoco, che nel
film è abbastanza controversa e tirata in ballo prevalentemente a scopi
narrativi; quello che stupisce in Chi vuole uccidere miss Douglas? è la
vigorosa reazione della protagonista. Nelle riflessioni che il bel personaggio
interpretato dalla meravigliosa Morgan, medita tra sé e sé, appare chiaro che
farsi valere non è tanto un diritto delle donne, quanto un dovere di ognuno. E
il fatto che a risolvere la questione sia Julie, ne è l’ulteriore conferma:
tutti dobbiamo combattere la violenza, anche chi non la subisce direttamente.


Morgan Fairchild
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