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sabato 25 novembre 2023

PERDONO (1966)

1397_PERDONO . Italia 1966; Regia di Ettore Maria Fizzarotti.

Nello stesso 1966 in cui era uscito Nessuno mi può giudicare, la Titanus riesce a sfornare anche Perdono, un sequel a stretto giro di posta che ne è la diretta continuazione. Si potrebbe forse osservare la mancanza di pudore dello studio di produzione – se pudore è la parola più adeguata – nel riproporre in modo così pretestuoso la stessa minestra pur di soddisfare la domanda del pubblico. In realtà, è più interessane osservare come gli autori si ingegnino per far funzionare anche Perdono in modo tutto sommato egregio. Sergio Bonotti al soggetto, Giovanni Grimaldi alla sceneggiatura e Fizzarotti in regia devono trovare il modo di mettere zizzania tra Laura (Laura Efrikian, sa va san dir) e Federico (Fabrizio Moroni). Impresa non da poco perché l’amore tra i due è stato temprato duramente dalle vicende del precedente film. È ormai evidente come il sentimento che leghi i giovani sia solido e il tira-e-molla adolescenziale, tipico di questi film, non è più un espediente che possa reggere. L’idea – non certo originale, sia chiaro – è quindi quella di inserire un terzo incomodo, nella fattispecie Caterina, la cugina di Laura interpretata da Caterina Caselli. È un’intuizione funzionale perché, va ricordato, il progetto si fonda sulle canzoni di Casco d’Oro e quindi è vitale che la cantante sia al centro del racconto. In effetti, in Nessuno mi può giudicare era un po’ strano vedere il personaggio di Caterina suscitare emozioni, durante le sue esibizioni canore, di cui, in un certo senso, era però la cugina Laura a raccogliere i frutti. Il problema era che la Caselli non era un’interprete di professione; non che la Efrikian fosse Anna Magnani, ma il mestiere lo conosceva. Inoltre, inutile girarci attorno, seppure la Caselli fosse una bella ragazza, la Efrikian era decisamente più carina e graziosa. Insomma, mica semplice per Caterina Caselli riuscire a rendere credibile il suo flirt con un personaggio da fotoromanzo come Federico, che sembrava ormai bello che pronto per essere impalmato dall’amata Laura. Eppure Casco d’Oro riesce nell’impresa e, grazie anche agli intermezzi musicali nei quali può sfoggiare la proverbiale verve, la traccia sentimentale risulta sistemata. In ogni modo, considerato la sua relativa consistenza, gli autori chiedono a Gino Bramieri e Nino Taranto, i personaggi di spicco nel resto del cast, di calcare la mano sulle loro vicende tipiche da commedia all’italiana. 

Ancora in gran spolvero Bramieri (è il direttore della Standa di Roma dov’è ambientata la storia), che trova nell’austera ed elegantissima Marisa del Frate (è Tilde), una partner adeguata, e bene anche Nino Taranto (Antonio) che se la deve sbrigare con Clelia Matania (Adelina). Va comunque messa a referto la rispettabile struttura del canovaccio, con la traccia sentimentale di Bramieri che ricalca quella di Taranto, dal momento che sia Tilde che Adelina sono vedove e le figure dei compianti primi mariti intralciano in modo comico le nuove relazioni. La vicenda di Taranto è poi legata a quella principale tra Laura e Federico perché è proprio l’assenza dal lavoro di Adelina, a casa in licenza matrimoniale, a tenere impiegata sul lavoro la commessa, dando campo libero a Caterina nei confronti di Federico. Le tre storie sentimentali sono quindi interlacciate tra loro e questo, se da un certo punto di vista agevola lo svolgimento della trama, innegabilmente testimonia l’accurato lavoro in sede di scrittura. Tra i caratteristi convocati per dar ulteriormente corpo al racconto, vanno ricordati Vittorio Congia, Nino Terzo, Carlo Taranto, Carlo delle Piane che hanno per altro uno spazio esiguo a disposizione. Tra questi personaggi di contorno, un paio riescono però nell’impresa di bucare lo schermo in pochi istanti. Il primo è Paolo Panelli, davvero spassoso nel ruolo del padre di Federico, che risulta memorabile con le sue stramberie e i suoi refrain – come il “che ho detto?” ripetuto alla fine di ogni frase per sondare l’attenzione dell’interlocutore. E poi lascia un filo di rammarico la figura della maestra d’inglese: Milena Vukotic, oltre che una brava attrice – nastro d’argento nel 1994 – è stata anche una donna molto bella ed elegante, come appunto in Perdono, ed è un peccato che sia rimasta nella memoria di molti, se non di tutti, come la moglie sciatta e bruttina del ragionier Fantozzi.   

Laura Efrikian 


Caterina Caselli 


Milena Vukotic 


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venerdì 10 novembre 2023

NESSUNO MI PUO' GIUDICARE (1966)

1389_NESSUNO MI PUO' GIUDICARE . Italia 1966; Regia di Ettore Maria Fizzarotti.

Archiviata la trilogia con Gianni Morandi, Ettore Maria Fizzarotti mette al centro del suo nuovo film Caterina Caselli che, nel gennaio di quel 1966, aveva sbancato al Festival di Sanremo, piazzandosi seconda ma spopolando nelle classifiche di vendita. L’dea alla base della produzione è comunque sempre la stessa dei precedenti musicarelli e la Titanus, lo studio di Cinecittà, oltre a Fizzarotti in regia, tra gli altri, conferma Stelvio Massi alla fotografia in bianco e nero e Giovanni Grimaldi alla sceneggiatura. L’architettura della storia è ben congeniata, almeno per il livello richiesto, e le accuse che si ripetono sul capo di Laura (Laura Efrikian, altra fedelissima della produzione) oltre ad essere infondate – e studiate più che altro per rendere opportuna la canzone che dà il titolo al film – sembrano perfino ridondanti. L’incauto Federico (Fabrizio Moroni) accusa la commessa della Standa di furto salvo poi finire, ovviamente, per innamorarsene. Se la Efrikian sembra nata per questo tipo di interpretazioni, Moroni pare più adeguato al fotoromanzo, anche per via della notevole statura che lo impaccia un po’ nelle scene. Decisamente più spigliati i vari habitué dei musicarelli di Fizzarotti: Gino Bramieri (è il direttore), Vittorio Congia (Vittorio, l’ascensorista), i fratelli Taranto, Nino (è Antonio) e Carlo (Peppiniello). In particolare forma Nino Taranto e ancor più Gino Bramieri, davvero spassoso. Tutto sommato sorprendente la prova attoriale di Caterina Caselli, commessa della Standa come la cugina Laura, con la segreta aspirazione di fare la cantante. Non siamo di fronte ad una nuova stella del cinema, sia chiaro, ma Casco d’Oro se la cava egregiamente nel recitare la sua parte. Da applausi, poi, le sue interpretazioni, tra cui val la pena ricordare Nessuno mi può giudicare, Perdono e L’uomo d’oro. Insomma, Fizzarotti riesce a portare la barca in porto anche stavolta con i classici ingredienti dei suoi musicarelli: sentimentalismo, canzoni e giusto un filo di commedia all’italiana in più del solito, grazie alla verve di Gino Bramieri e Nino Taranto.



Laura Efrikian 


Caterina Caselli


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martedì 10 ottobre 2023

DESTINAZIONE SANREMO

1373_DESTINAZIONE SANREMO . Italia, 1959; Regia di Domenico Paolella.

Dopo Canzoni di mezzo secolo (1952), Canzoni, canzoni, canzoni (1953) Domenico Paolella si era dedicato al varietà e alla commedia, da segnalare il famoso Destinazione Piovarolo (1955) con Totò, ma quello stesso anno era tornato a trattare la canzone italiana, con il suo cinema, ne Canzoni da tutta Italia. L’anno successivo, con Sanremo canta, lo specialista del cinema canterino Paolella mette quindi al centro della sua macchina da presa il Festival della Canzone Italiana. Si tratta di una sorta di documentario ma è comunque fondamentale nella nascita della corrente dei musicarelli, a cui si può legittimamente iscrivere il successivo Destinazione Sanremo. Siamo nella primavera del 1959, I ragazzi del Juke Box di Lucio Fulci, spesso indicato come apripista del musicarello italiano moderno, uscirà solo in estate e Destinazione Sanremo può quindi ambire al ruolo di anticipatore di quello che sarà, in modo certamente più consapevole, un sottogenere se non un genere vero e proprio. In effetti gli escamotage narrativi che Paolella costruisce intorno alle canzoni del Festival di Sanremo di quell’anno, sono poca cosa, se paragonati alla relativa complessità dei musicarelli di Fulci o anche rispetto ai lavori di Ettore Maria Fizzarotti, vero maestro nel tema specifico. Gli elementi che Paolella getta sullo schermo sono il comico (lo sketch tra Tino Scotti e Pina Renzi), il sentimentale (Yvonne Monlaur e Gabriele Tinti) e la commedia (Alberto Telegalli e Dolores Palumbo), ovvero i tipici ingredienti dei musicarelli, insieme alle canzoni, ovvio. Tra queste, da ricordare Piove (ciao ciao bambina) cantata con la consueta teatralità da Domenico Modugno, Io sono il vento, eseguita con vigore da Arturo Testa, l’intensa Nessuno cantata da Betty Curtis, la divertente Avevamo la stessa età, cantata da Aurelio Fierro, l’allegra Una marcia in fa, cantata da Betty Curtis e Johnny Dorelli, La vita mi ha dato solo te cantata con passione da Julia de Palma, che sfoggia tra l’altro una notevole presenza scenica. Nilla Pizzi, Claudio Villa e Teddy Reno tra gli altri interpreti che nel film fanno la loro comparsa.    


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giovedì 31 agosto 2023

UNA LACRIMA SUL VISO

1338_UNA LACRIMA SUL VISO . Italia, 1964; Regia di Ettore Maria Fizzarotti.

Sull’onda del successo della canzone Una lacrima sul viso in quel del Festival di Sanremo 1964 – dove Bobby Solo fu escluso dalla finale ma vide riconosciuta in seguito una sorta di vittoria morale – la Titanus affida a Ettore Maria Fizzarotti un film da impostare sul bellissimo brano in questione. Le considerazioni che devono aver fatto gli autori, Giovanni Grimaldi e Bruno Corbucci, soggetto e sceneggiatura, oltre al regista, devono aver tenuto in conto che quella canzone era – ed è – un vero pezzo da novanta nel panorama musicale italiano e non, e quindi non occorresse insaporire troppo la ricetta. Del resto, i musicarelli, il genere che stava prendendo piede in Italia al tempo, erano un mero e dichiarato pretesto per ascoltare e vedere quei cantanti che erano sulla cresta dell’onda in quel frangente. Bobby Solo, chiamato per la prima volta sul grande schermo, si limita di fatto ad interpretare quella che, in fondo, è l’idea che cerca di veicolare come cantante: il suo nome d’arte può farlo passare per italoamericano così come il look, palesemente ispirato a Elvis Presley. E nel film Bobby Solo è infatti Bobby Tonner, un cantante pop rock americano di origini italiane, in visita a Napoli; qui incontra l’amico di suo padre, il professore di Conservatorio Todini (Nino Taranto) che, guarda caso, non sopporta gli urlatori. Questo rimando si riallaccia alla polemica tra melodici, i cantanti tradizionali, e urlatori, alfieri del nuovo corso musicale che, all’epoca, infiammava la Penisola ed era stato al centro dei precedenti musicarelli, I ragazzi del Juke- Box (1959) e Urlatori alla sbarra (1960) di Lucio Fulci. 

Nella sua interpretazione di questo nuovo e curioso filone del genere musicale, Fizzarotti spingerà assai più di Fulci sul pedale del sentimentalismo, e troverà in Laura Efrikian il punto di riferimento. La Efrikian, bella a sufficienza ma anche esente da malizia o derive eccessivamente provocanti, era l’ideale per evitare di far sfociare le romanticissime storie imbastite da Fizzarotti e company in vicende in qualche modo piccanti. Evidentemente i produttori ritenevano più remunerativo al botteghino un’opera dal profilo discreto anziché qualcosa non solo scandaloso ma perfino pruriginoso. Una lacrima sul viso è in fondo tutto qui: Bobby Solo sembra davvero un turista, non solo a spasso per Napoli e dintorni ma anche sul grande schermo. Laura Efrikian tiene bene il centro della scena con il suo discreto ma efficace charme, mentre Nino Taranto guida con ardore la sparuta pattuglia di caratteristi del film che sorregge l’esile commedia che fa da sfondo alla storia sentimentale. Un filo di pepe ce lo mette Lena Von Martens, bionda e sensuale amica di Laura che prova a soffiarle il fidanzato facendo affidamento sulla propria avvenenza. Ma è una variazione della trama imbastita unicamente per mettere in scena la canzone che dà il titolo al film, vero punto di forza dell’operazione. Talmente bella da riuscire a farla funzionare.  



 Laura Efrikian



Lena von Martens 



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martedì 29 agosto 2023

TUTTO TOTO' - TOTO' CIAK

1337_TUTTO TOTO' - TOTO' CIAK . Italia, 1967; Regia di Daniele D'Anza.

Atipico episodio della serie Tutto Totò, il sesto appuntamento intitolato Totò Ciak! pare fece il boom di ascolti con 13 milioni di spettatori; in compenso oggi è in genere stroncato dalle recensioni che si possono trovare in rete. In effetti l’operazione è certamente curiosa e sembra ottimizzare lo scarso apporto che il Principe della Risata, ormai allo stremo delle forze, poteva offrire; è giusto riconoscere che il comico napoletano, per quanto cerchi di onorare lo spettacolo, non ha la sua verve migliore e del resto il triste giorno della sua dipartita si avvicinava sempre di più. Il film è impostato in evidente tono metalinguistico con Margherita Guzzinati che conduce una sorta di puntata speciale dedicata al cinema di casa nostra. I generi trattati sono tre: i film di spionaggio – sul modello di quelli di James Bond, l’agente segreto 007 – i western all’italiana e i musicarelli – i musical del Belpaese all’epoca. Se per i film sulle spie e per i western sono ricostruite due vere e proprie parodie, il musicarello è sostanzialmente il genere complessivo dell’opera, visto che le canzoni costellano tutta la lunghezza dello spettacolo. Ma andiamo con ordine: dopo l’introduzione della Guzzinati, ci troviamo in un set di un tipico film di James Bond, con il lussuoso albergo, la piscina e tante ragazze in costume. Al di là delle gag non certo memorabili, sorprendono positivamente le canzoni, a partire da Una porta chiusa cantata dai Royals con le loro chitarre ma bene anche Donatella Moretti con Era più di un anno e soprattutto Michele con la sua bellissima E’ stato facile. Archiviata la questione spionistica, c’è l’intermezzo musicale di Gianni Morandi con la sua Povera Piccola anche questo di notevole livello. La seconda parte è una parodia dei western di Ringo, qui interpretato da Gordon Mitchell, ed è ben introdotta dal brano Angel Face di Maurizio Graf. Totò, per quanto possa essere buffo nei panni del pistolero, sembra ancora più provato, rispetto alle scene in cui faceva il verso a 007. Ancora una volta sono le esibizioni canore a salvare la baracca, Anna Identici con Una lettera al giorno e nientemeno che Bobby Solo con Per far piangere un uomo. Difficile obiettare sulle critiche di un’evidente improvvisazione che vengono mosse a questo film. Eppure la scelta delle canzoni che irrompano nello scorrere della trama senza troppe pretese di avere particolari connessioni con essa – come avveniva in molti musicarelli cinematografici – non è necessariamente da scartare a priori e, in questo caso, risulta particolarmente funzionale anche per via della clamorosa resa sonora dei brani. Oltretutto, le canzoni sono poco conosciute ma niente affatto male. Insomma, se non uno degli episodi migliori della serie, perlomeno uno dei più originali.  




  Margherita Guzzinati 



Ivy Holzer 


Anna Identici 


Donatella Moretti


Marisa Traversi 


Copertina alternativa

martedì 15 agosto 2023

SE NON AVESSI PIU' TE

1330_SE NON AVESSI PIU' TE . Italia, 1965; Regia di Ettore Maria Fizzarotti.

Arrivati al terzo capitolo della trilogia dedicata alla naja di Gianni Morandi alias Gianni Traimonti, gli autori decidono di cambiare finalmente lo script alla base. Il che, un po’ clamorosamente, rende meno funzionale Se non avessi più te rispetto ai precedenti: e se il paragone deficitario con In ginocchio da te, il primo dei tre film, può essere comprensibile, stupisce che Se non avessi più te sia meno godibile anche rispetto a Non son degno di te che pure era una copia carbone del suo precedente. Le canzoni, il pezzo forte di questi musicarelli, ci sono e si possono ricordare la bella e divertente Meglio il Madison, e poi I ragazzi dello Shake, Si fa sera, Ti offro da bere, Sono tanto solo, Se tra noi qualcosa cambierà, tutti brani tipici del Morandi dell’epoca a cui, però, si ha quasi l’impressione che non sia messa la giusta enfasi dal film stesso. Forse tale attenzione è riscontrabile solo per la canzone che chiude la pellicola, e come da tradizione della trilogia segna il ricongiungimento tra Gianni e Carla (Laura Efrikian), Se non avessi più te, un buon brano ma non certo paragonabile a In ginocchio da te e Non son degno di te, e questa è un po’ la cartina tornasole per capire la minore funzionalità di questo terzo capitolo. In ogni caso, anche il senso dell’operazione cinematografica di questa terza parte delle vicende di Gianni e Carla presenta qualche motivo di curiosità. E’ evidente l’intenzione di differenziarsi dai primi due capitoli sin dal fatto che la ferma militare di Gianni finisce quasi ad inizio film; giocoforza gli autori dovranno inventarsi qualcosa di nuovo. 

E la scelta di Fizzarotti, Bruno Corbucci e Giovanni Grimaldi, regista e autori al lavoro in sede di scrittura del film, è abbastanza sorprendente: ad insediare l’armonia di coppia tra Gianni e Carla non è un tradimento – l’azione di Isabel de Villalba (Anna Maria Polani) è troppo lieve e sembra unicamente inserita per rispettare un cliché narrativo – ma l’azione del discografico dottor Neris (Aroldo Tieri). In pratica, in un’opera smaccatamente commerciale – il secondo sequel di un film già messo in cantiere in origine per motivi di cassetta, appartenente ad un genere, quello dei musicarelli, nato per sfruttare il successo dei cantanti – presenta come elemento di disturbo per la serenità della coppia le ingerenze della casa discografica e le esigenze di marketing. Ci vuole della bella faccia tosta ma, in fondo, pensando a Morandi e al suo repentino e opportunistico pentimento nel finale di In ginocchio da te, viene da pensare che sia un po’ la cifra stilistica del genere. In ogni caso, il dottor Neris minaccia Gianni che se si sposerà verrà licenziato dalla casa discografica e sarà costretto a pagare una salatissima penale. Il padre di Carla, il sottotenente Todisco (Nino Taranto), organizza quindi un matrimonio segreto e, successivamente, la famiglia si completerà con un neonato altrettanto segreto. La semplicità dei primi due capitoli, la vita militare e le passeggiate sulla costa napoletana, lasciano il posto ad una vicenda un po’ ferruginosa fatta di fugaci spostamenti per l’Italia e l’Europa, con la povera Carla lasciata sempre in disparte. Nel cast, oltre ai citati, ritroviamo Vittorio Congia (è Nando Tazza, non più militare ma riconvertito come agente di Gianni), Dolores Palumbo (è Santina, la madre di Carla), Gino Bramieri e Raffaele Pisu (padre e zio di Gianni) e Nino Terzo (il folle sergente balbuziente). Chiusura per Nini Rosso che, con la sua fedele tromba, scippa a Gianni Morandi la ribalta musicale prendendosi il momento clou del film quanto intona una superba versione del Silenzio. Da applausi; almeno il suo intervento.  



Laura Efrikian 



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