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giovedì 25 maggio 2023

THE MAIDENS OF FETISH STREET

1279_THE MAIDENS OF FETISH STREET Stati Uniti,1966; Regia di Saul Resnick.

Portato almeno un minimo al centro dell’attenzione – si fa per dire, eh – dal recente eccellente restauro da parte del regista Nicolas Winding Refn, The Maidens of Fetish Street è un’opera più bizzarra del prevedibile. Saul Resnick realizza infatti una sorta di sexploitation sperimentale il che sembra già una contraddizione: che sfruttamento, nel senso di massima speculazione, ci può essere in un film che sovverte le aspettative per inoltrarsi in nuove strade? In realtà, al di là del curioso aspetto da noir erotico, in The Maidens of Fetish Street le scene con richiami smaccatamente sessuali non mancano, con una serie nutrita di ragazze che ballano coi seni sventolanti, ma lo sguardo di Resnick non è poi così compiaciuto come ci si dovrebbe attendere in un’opera appartenente ad un genere così accondiscendente verso le pruderie degli spettatori. Il rimando al feticismo contenuto nel titolo sembra un riferimento abbastanza esplicito, oltretutto negli anni Sessanta il fetish si era ormai affermato almeno nel suo ambito underground, eppure la storia – se possiamo definirla così – pare sia ambientata a Los Angeles nel 1928. Tuttavia lo spettacolo burlesque dell’abbondante Eve St. Pierre che incornicia i primi segmenti narrativi lascia pochi dubbi, la scena è grosso modo contemporanea all’uscita del film. Mentre Eve agita il suo prosperoso corpo, Joe (Nick Nickerson), untuoso uomo di mezza età frustrato e bigotto, si reca dalla scafata prostituta Margo (Althea Curier) per un classico di questo tipo di incontri, almeno al cinema, ovvero quello tra un uomo solo, disperato e moralista e una donna sola, disillusa e cinica. Memorabile la scena in cui la donna lo afferra per i capelli prima di ricevere un rapporto orale e scopre comicamente che l’uomo porta il parrucchino. 

Umorismo a parte, la critica al fenomeno della prostituzione, del quale sono tratteggiate sommariamente alcune dinamiche, è evidente. Successivamente un incontro lesbo tra la modella Sandra (Kellie Everts) e la scultrice (Margo Lynn Sweet) ci ricorda come spesso si ricorra all’arte per veicolare contenuti erotici. In effetti l’utilizzo dei codici sessuali, che sono molto stimolanti per l’individuo, è uno stratagemma usato sovente dall’arte nelle sue varie rappresentazioni. Il fatto che le due donne abbiano un velato rapporto omosessuale forse vuole rimarcare come l’erotismo si sia ormai affrancato dalle necessità della riproduzione della specie. Intanto, quello che probabilmente è il protagonista del film, il viscido Nick (Ken McCornick) pare stabilirsi a convivere con Madame (Dotty Dare), sfiorita maitresse dell’House of Fetish; anche troppo sfiorita, forse, visto che l’uomo poi si lascia tentare da qualche scappatella con le giovani e piacenti ragazze del bordello. Curiosa la scena onirica in cui, una volta legato e cosparso di melassa, Toni, una prostituta di colore, traffica per prendere delle formiche con cui torturarlo. In seguito, mentre i due si trastullano nella vasca da bagno, irrompe sulla scena Madame che, spalleggiata da una delle ragazze, dà vita ad una scena catfight, una scazzottata tra donne. 

Pur nell’esilità della trama, pare ispirata dal testo The Degenerates di cui però non si hanno altre notizie, Resnick può esplorare velocemente alcuni tra i temi più ricorrenti del feticismo: dai rapporti sado-maso, al bondage, all’attenzione ai dettagli, sia fisici che negli accessori dell’abbigliamento, alle scene con donne mature e/o sovrappeso, alla lotta tra uomo e donna e a quella tra donne. C’è da fare però un’osservazione: lo sguardo dell’autore non sembra tanto morboso quanto focalizzato sulla morbosità, incarnata prevalentemente dai due sudici uomini della storia, Nick e Joe. La visita di Nick in un ampio negozio di riviste o immagini fetish, tra cui si scorgono quelle del maestro Eric Stanton, sembra dare da intendere che tutta la visita al bordello sia frutto delle fantasie dell’uomo. Quando Nick torna in sé, stava infine immaginando di avere una normale vita di coppia con una bionda niente male (Barbara Nordin), scopre che è rimasto chiuso nel negozio oltre l’orario di chiusura. Nella palese metafora che ne esce, il feticismo, insomma, sarebbe una gabbia, rappresentata figurativamente dalla grata dell’inferriata, che impedisce all’individuo una vita serena e amorevole. Il che può anche essere vero, visto che è indubbio che il feticismo sia una devianza per definizione: viene infatti deviato l’oggetto del desiderio sessuale su un qualcosa, il feticcio, che dovrebbe rafforzare il riferimento attrattivo originale ma finisce invece per sostituirlo. Il problema è che è qualcosa di presente allo stato attuale e non è che negandolo, condannandolo o stigmatizzandone i rischi si possa far sparire. Questa deriva latente nel film di Resnick, che certamente prova a metterci in guardia dai rischi di queste pratiche, è l’aspetto più debole, perché se ne potrebbe dedurre che stando lontano da certe pratiche avremmo risolto il problema. Nell’esempio narrativo riportato se Nick non entra nel negozio, non ne può rimanere prigioniero: ma sembra un modo un po’ semplicistico di affrontare la cosa. Le sbarre che si ergono possono anche rappresentare il feticismo o qualche altra devianza, ma sono costituite da qualcosa che è già preventivamente nella psiche dell’individuo in questione. Al netto di questi semplicisti tentativi di prendere le distanze da quello che viene mostrato sullo schermo, il film conserva qualche aspetto interessante e se non altro da un punto di vista figurativo, grazie alla folgorante fotografia in un oscuro bianco e nero, è senz’altro da segnalare come degno di nota.   




Althea Currier 


  Eve St. Pierre


Dotty Dare 


Margo Lynn Sweet


Kellie Everts 

Barbara Nordin 


Galleria di manifesti 




martedì 23 maggio 2023

LE FORZE DEL MALE

1278_LE FORZE DEL MALE (Force of Evil)Stati Uniti,1948; Regia di Abraham Polonsky.

Dopo aver magistralmente sceneggiato Anima e corpo (1947, regia di Robert Rossen) Abraham Polonsky ottenne l’incarico di realizzare interamente – regia e co-sceneggiatura – Le forze del male. Lo studio di produzione era ancora la Enterprise di John Garfield, eccellente protagonista tanto del citato film di Rossen che di questo di Polonsky. Le forze del male è un capolavoro, non solo esteticamente e tecnicamente, ma anche per la spietata capacità critica; tuttavia l’acume di Polonsky, sostenuto e interpretato sullo schermo da Garfield, costò caro a tutti e due. Le conseguenze di questo lavoro così critico nei confronti del Sistema, non sono dettagli di cronaca: sono esattamente l’oggetto del film in questione, Le forze del male. Forze che, messe sotto accusa, si ribellarono e, attraverso la famigerata Commissione per le Attività Antiamericane, misero fuori gioco per alcuni anni Robert Rossen mentre Polonsky addirittura dovette attendere il 1970 per tornare a dirigere. Tuttavia andò decisamente peggio a Garfield che, già malato di cuore, fu sottoposto ad una tale pressione dalla commissione da perderci la vita. E’ importante, tenere a mente queste conseguenze che un organo ufficiale della Camera degli Stati Uniti mise in campo per contrastare libere espressioni artistiche, diversamente Le forze del male potrebbe sembrare eccessivamente critico nei confronti della società americana. In effetti, pochi film riescono a centrare il bersaglio in modo implacabile come Le forze del male: teso e serrato, soprattutto in avvio, il film di Polonsky non molla mai la presa, sorretto da una sceneggiatura d’acciaio vera cifra stilistica dell’autore. I dialoghi, anche quelli della traccia sentimentale tra Joe (Garfield, naturalmente) e Doris (Beatrice Pearson), sono eccellenti, ironici e intelligenti. Joe è un uomo d’affari mentre Doris è la segretaria di Leo (Thomas Gomez), fratello del protagonista del film: tanto l’uomo al centro del racconto è senza scrupoli, quanto la ragazza sembra una paladina dell’onestà. Nel libro Film Noir 100-All Times favorites di Paul Duncan e Jurgen Muller, [Taschen] Doris è definita efficacemente la nemesi sentimentale di Joe. 

La storia è ambientata nel mondo delle lotterie illegali, dove, a fianco di innocui allibratori come Leo, prospera un vero e proprio racket di cui Joe, che pure è avvocato, cura gli interessi di uno dei boss, Tucker (Roy Roberts). Joe, che incarna perfettamente l’uomo d’affari americano – elegante, educato ma anche scaltro e opportunista – cerca in tutti i modi di coinvolgere Leo nel giro che conta, ma questi ha una sorta di codice d’onore deontologico e non vuole truffare i propri clienti. Intendiamoci: anche l’attività di Leo è illegale, che sponde completamente positive il film di Polonsky non ne offre. Neppure Doris, seppure presumibilmente si creda onesta, ha le sue pecche: intanto è la segretaria di un allibratore clandestino, inoltre il fascino che Joe esercita su di lei è strettamente legato al lato oscuro dell’uomo. In effetti, per essere un noir – e considerato uno dei migliori – manca la dark lady: o meglio, una perfetta femme fatale c’è, nientemeno che Marie Windsor in forma smagliante nelle seducenti vesti di Edna Tucker, moglie vagamente insoddisfatta del boss malavitoso. Ma la donna ha un ruolo del tutto marginale, sottolineato anche da una sbrigativa battuta con cui la liquida Joe. A dirla tutta sembra quasi una mancanza di riguardo, da parte del regista: va bene che la Windsor non era ancora un’attrice affermata ma, pur non essendo una bellezza classica, aveva tonnellate di fascino. E creare, con l’iconica immagine di Marie con le gambe quasi accavallate, una femme fatale nuova di zecca per poi relegarla in un ruolo così insignificante è perfino offensivo, verrebbe da pensare.

Invece risponde ad una precisa esigenza più che narrativa, significativa: nello schema tipico del noir, la dark lady era l’elemento che portava l’uomo alla rovina, rappresentando quindi la figura del diavolo tentatore o questo genere di cose. Una lettura individuale, in quanto il noir aveva incarnato i travagli del singolo di fronte ad una serie di difficoltà – la Grande Depressione, la Seconda Guerra Mondiale, la crisi economica. Ma a Polonsky non interessa tanto la visione individuale quanto quella sociale, collettiva: e poi al regista non serve una femme fatale, per corrompere il protagonista, perché lo ritiene già fondamentalmente corrotto. In quanto appassionato di cinema sa perfettamente che la dark lady è un elemento ineludibile del genere noir, e quindi ce la mette, salvo poi non usarla in quanto non la ritiene utile al suo scopo. Le forze del male, come fa notare Martin Scorsese, “non riguarda la corruzione del singolo ma dell’intero Sistema, in una visione al tempo stesso politica ed esistenziale”. Una delle frasi che sembra quasi incarnare lo spirito non tanto del protagonista che la recita, e nemmeno del film ma addirittura degli Stati Uniti d’America, lascia poco spazio all’interpretazione: “cosa significa mafiosi? Sono solo affari”. Un uomo intelligente, brillante ed istruito, non riesce a cogliere la palese scorrettezza di una truffa ai danni degli scommettitori messa in atto dal racket per il quale lavora. Come si vede, Polonsky è davvero scatenato: già le scommesse erano illegali ma oltretutto venivano truccate. 

Restando in tema di commenti, la famosa frase di Fritz Lang sui cattivi vs più cattivi della società che divenivano convenzionalmente buoni vs cattivi al cinema, è messa in pratica con tutto lo zelo che Polonsky disponeva. Leo, che nel film ha il ruolo di riferimento morale – avendo pagato gli studi al fratello Joe per farne un avvocato e rifiutando di aderire alle truffe del racket – è un book makers clandestino, non precisamente un professionista in ambito lecito. Ma gli alti papaveri dell’organizzazione mafiosa sono certamente peggio, a cominciare dal fratello avvocato che non palesava alcuno scrupolo legale. Cinicamente, il racket – e Polonsky ancor più cinicamente – ha organizzato una truffa sul numero 776 il giorno del 4 luglio: il 4 luglio 1776 è il giorno dell’Indipendenza degli Stati Uniti d’America. Il regista non vuole equivoci: ad essere messi sotto accusa sono proprio gli Stati Uniti d’America, tant’è che Joe, Tucker e gli altri si muovono tra i lugubri e incombenti palazzi di Wall Street, il vero cuore del paese. A proposito della fotografia, notevole il lavoro del veterano George Barnes, chiamato dal regista a ricreare le atmosfere del pittore Edward Hopper. Il bianco e nero eccezionale è supportato da un montaggio serrato, opera di Arthur Seid, che seguiva la sceneggiatura incalzante; le musiche di David Raksin completano il capolavoro di Polonsky. Un capolavoro che, tardivo ritorno sulle scene troppi anni più tardi a parte, sarà praticamente il suo esordio e il canto del cigno allo stesso tempo. Il Sistema ti sistema, cantavano Il Quartiere Latino, un gruppo rock italiano negli anni 90; e già da più di quarant’anni.       







Marie Windsor 






Beatrice Pearson 


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domenica 21 maggio 2023

SQUADRA SPECIALE CON LICENZA DI STERMINIO

1277_SQUADRA SPECIALE CON LICENZA DI STERMINIO (The Doll Squad)Stati Uniti,1973; Regia di Ted V. Mikels.

Nonostante il titolo italiano oggi appiana assai meno convincente dell’originale The Doll Squad, a ben vedere fotografa meglio quello che accade nell’improbabile Z-movie di Ted V. Mikels. I morti che seminano le procaci protagoniste, le ragazze del Doll Squad appunto, sono infatti un numero tale che si può quindi definire il loro operato uno vero e proprio sterminio. Non che la cosa possa in qualche modo turbare i sonni del pubblico del film, beninteso; semmai i sogni degli spettatori saranno stuzzicati dalle forme che le citate ragazze esibiscono generosamente. Tra queste la protagonista è la più attraente, ovvero la splendida Francine York nei panni della capobanda Sabrina Kincaid, personaggio che scenograficamente regge sontuosamente la scena per tutta la durata del lungometraggio. Più defilate le altre del gruppo, tra cui vale comunque la pena ricordare Tura Satana (è Lavelle Sumara), Lisa Todd (è Maria) e Leigh Christian (è Sharon). In sé Squadra Speciale con licenza di sterminio non è certo un film ben costruito e realizzato con sufficiente perizia: ad essere del tutto onesti siamo abbastanza lontani dal minimo sindacale richiesto. Quello che rende la pellicola degna di nota è l’idea di un gruppo di donne che svolga un ruolo che nei film d’azione è in genere maschile, oltre agli espliciti rimandi erotici che pure, per la verità, da un punto di vista prettamente sessuale, sono contenuti. Non ci sono scene di sesso in Squadra Speciale con licenza di sterminio ma la violenza esibita e soprattutto il vedervi coinvolte ragazze in abiti e pose estremamente provocanti, rende abbastanza facile intuire dove si voglia andare a parare. Niente di male, per carità; del resto pare che il film fu lo spunto per la successiva serie televisiva Charlie’s Angels che ne era, in effetti, una versione depurata dalla violenza estrema e raffinata sul versante erotico. Tra l’altro, Quentin Tarantino si dice essere un gran fan di Squadra Speciale con licenza di sterminio e questo non è che renda il film migliore di quanto non sia ma dà, in un certo senso, l’idea di come il lungometraggio di Ted V. Mikels, all’epoca della sua uscita, riuscì a colpire l’immaginario del pubblico e ad influenzarlo. Insomma non un’opera imprescindibile per le sue qualità artistiche ma piuttosto un testo un po’ intrigante e che, al tempo, aiutò a liberarci di qualche tabù. E tanto basta.      





Francine York 




Tura Satana 




Lisa Todd




Leigh Christian 


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