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Visualizzazione post con etichetta Guerra. Mostra tutti i post
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lunedì 1 settembre 2025

ONE DAY IN UKRAINE

1723_ONE DAY IN UKRAINE, Ucraina, Polonia 2022. Regia di Volodymyr Tykhyy

Il collettivo Babilon’ 13, attivo sin dai tempi della Rivoluzione della Dignità come dimostra il loro Euromaidan – Rough Cut, sa bene che il 24 febbraio 2022 non è cominciata la guerra russo-ucraina. In quel tragico giorno, Mosca ha semplicemente innalzato i toni dello scontro, dando il via alla cosiddetta «invasione su larga scala». Anche stavolta, come nel caso dei fatti di Piazza Indipendenza che diedero il via alla crisi, il collettivo di registi è lesto a reagire per lasciare una traccia cinematografica indelebile: One Day in Ukraine, regia di Volodymyr Tykhyy, coadiuvato dagli altri attivisti per le riprese, ne è il risultato. Nel film, proiettato nell’estate del 2022, si ribadisce l’importanza cronologica degli eventi: il 14 marzo 2022, ovvero il «giorno in Ucraina» a cui si riferisce il titolo, è il numero 2.944 dall’inizio della guerra. Non sono passate solo poche settimane ma ben nove anni; la guerra non è incominciata il 24 febbraio 2022, ma ai tempi della reazione prepotente del Cremlino ai fatti di Piazza Indipendenza. Il documentario sfrutta la matrice collettiva del Babilon’13, per seguire contemporaneamente, nello stesso giorno, differenti storie e personaggi. L’occasione non è casuale, visto che il 14 marzo in Ucraina si celebra il Giorno del Volontariato e di questa attività solidale, spontanea e gratuita ci parla appunto One Day in Ukraine. La guerra non si combatte solo in prima linea, ma anche nelle retrovie, nelle metropolitane delle città che diventano rifugi sicuri per la popolazione contro i bombardamenti degli invasori. In quella di Kyiv è girato parte del film di Tykhyy, che segue differenti filoni narrativi, come il lavoro di alcuni militari che, tra le altre cose, sorvegliano le aree colpite, al fine di prevenire i saccheggi, o l’attivismo di una star della musica che si prodiga per dare concretamente una mano. Insomma, all’invasore armato fino ai denti, l’Ucraina non risponde soltanto a tono, ma mostrando anche la propria umanità e solidarietà.     






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domenica 31 agosto 2025

INNER WARS

1722_INNER WARS, Ucraina, Francia 2020. Regia di Masha Kondakova

Il significato del titolo del documentario di Masha Kondakova Inner Wars è «guerre interiori», il che, essendo il film ambientato nell’Ucraina orientale dove infuria la Guerra del Donbas è quantomeno curioso. Ma alla regista del conflitto con i separatisti interessa relativamente, c’è una didascalia in chiusura che ricorda la situazione geopolitica dell’area: quello che preme alla Kondakova è rivendicare il contribuito delle donne impegnate in guerra e la loro importanza, ingiustamente sottovalutata, nell’esercito ucraino. Queste sono le «guerre interiori» di cui ci racconta Inner Wars. Quella di Olena, soprannominata Witch, strega, combattente indomita, tra una sigaretta e l’altra, con due figli lasciati a casa; quella di Lera, che ha lasciato il suo lavoro di giornalista per sparare col mortaio e si è messa contro i superiori per restare in prima linea: o quella di Iryna, una veterana che ha perso due gambe e un occhio al fronte e che, nella sua personale battaglia per rivendicare il riconoscimento del contributo bellico femminile, forse è quella che meglio incarna lo spirito del film. Sebbene sia proprio lei a “sfidare Kondakova sulle sue reali intenzioni dietro il film” per usare le parole di Redmon Bacon sul sito Dirty Movies. [Dal sito Dirty Movies, pagina web https://dmovies.org/2021/11/30/inner-wars/, visitata l’ultima volta il 19 dicembre 2024]. Secondo il recensore, proprio la scelta della regista di non smussare questa divergenza con una delle protagoniste, è indice dell’onestà d’intenti dell’opera.
Il che è certamente condivisibile, come anche l’idea che alle donne debba essere riconosciuto parità di trattamento anche in ambito militare e tutto quanto il resto si possa immaginare in quest’ottica. Tuttavia, c’è qualcosa che non torna, che non quadra proprio alla perfezione. Nel senso: la guerra è la peggiore delle attività, qualcosa che si dovrebbe certare in tutti i modi di evitare; poi, d’accorso, forse in certi casi è inevitabile, in ogni caso non è questo il punto. Forse, in tempi arcaici, incominciarono ad occuparsene gli uomini perché le donne, dovendo allattare, avevano compiti ben più importanti: alimentare la vita anziché toglierla. Poi, d’accordo, sono cambiate un milione di cose, situazioni, e quel che si vuole, ma vedere che si ritiene una forma di emancipazione poter andare a combattere in guerra, lascia almeno un poco perplessi. Insomma, è indispensabile per le donne andare in guerra? O, formulando meglio, le donne sono indispensabili alla guerra? Certo, perché portano un contributo peculiare, una specifica dose di umanità, di empatia con l’«altro», qualcosa che, senza di loro, probabilmente mancherebbe. Ma questo rischia di significare che la guerra è qualcosa che dobbiamo tornare a ritenere necessario e indispensabile o, forse, semplicemente ineluttabile: se perfino le donne rivendicano il diritto di combattere, dobbiamo farcene una ragione. La Guerra del Donbas non sarà l’ultima, così come non lo sono state né la Prima Guerra Mondiale né la Seconda. E nemmeno lo sarà la prossima. Se le donne, naturalmente dispensatrici di vita, bramano il loro posto in guerra, si può dire con certezza che, almeno finché ci sarà quella citata vita umana, ci sarà guerra sulla Terra.  





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mercoledì 13 agosto 2025

CAPCANA MERCENARILOR

1713_CAPCANA MERCENARILOR , Romania 1981. Regia di Sergiu Nicolaescu

L’aspetto più sorprendente, nel film Capcana Mercenarilor [t.l. La trappola dei mercenari] del prolifico regista Sergiu Nicolaescu, è legato alla matrice storica del film e a come, ancora nel 1918, in alcune remote lande della Romania resistesse una società di tipo medioevale. Stando alla didascalia introduttiva, i fatti narrati da Capcana Mercenarilor sono storici, sebbene siano stati leggermente romanzati e vi sia l’aggiunta di qualche personaggio inventato. Sull’attendibilità di Nicoaescu non dovrebbero esserci troppi dubbi, dal momento che, il regista, fu in seguito importante uomo politico, arrivando persino alla carica di senatore di Romania. In ogni caso, il Massacro di Belis fu effettivamente un grave episodio storicamente avvenuto l’8 novembre 1918 nella Transilvania. La Prima Guerra Mondiale non si era conclusa che già le varie regioni sottomesse all’Impero Austro Ungarico, ormai sconfitto, reclamavano la propria autonomia. La Transilvania era percorsa da differenti moti: c’era la volontà da parte della popolazione di origine rumena di unirsi con la propria madrepatria, ma la presenza ungherese, che aveva governato fino a quel momento, non era ovviamente dello stesso avviso. Pur con qualche comprensibile aggiustamento, la trama di Capcana Mercenarilor può servire per comprendere quanto successe in quei tragici giorni. I riferimenti agli ungheresi, nel film, sono piuttosto vaghi, in quanto, negli anni Ottanta in cui venne prodotto il film, i rispettivi paesi erano alleati sotto nel Patto di Varsavia e si era in piena Guerra Fredda. In ogni caso, nel racconto filmico il colonnello dell’esercito austro-ungarico barone von Görtz (interpretato da Gheorghe Cozorici), incarica il capitano Luca (Mircea Albulescu) di reclutare mercenari per una rappresaglia punitiva nei confronti degli abitanti di un villaggio, accusati ingiustamente di aver incendiato la falegnameria e la riserva di legname del locale castello. Su disposizione del colonnello, verranno uccise quasi cinquanta persone –uomini, donne o bambini indistintamente– una per ogni abitazione del villaggio. 

La notizia giunge al maggiore Andrej (interpretato dallo stesso regista Sergiu Nicolaescu) che organizza a sua volta un manipolo di incursori e si reca al castello per compiere giustizia. Su questa base, grosso modo attendibile storicamente, si intreccia una vicenda sentimentale imbastita nella sceneggiatura con la collaborazione dello stesso regista, vero mattatore del film. La moglie del colonnello, la contessa Ester (Violeta Andrei) ha una tresca con il capitano Luca ma, in passato, è stata amante del maggiore Andrej: adesso affoga i suoi dispiaceri nell’assenzio. Il castello di famiglia è un degno rappresentante delle roccaforti transilvane, il conte Dracula viveva da queste parti, e in qualche passaggio il film richiama questo tipo di suggestioni. In effetti, Nicolaescu forse esagera, perché Capcana mercenarilor, pur essendo sempre godibile, mette troppa carne al fuoco. Oltre all’apparato storico, si va dalle antiche citazioni, «venia nova peccata ciet», traducibile con «il peccato richiama nuovi peccati», che sprona i nobili a non perdonare i propri sudditi, ai tanti rimandi agli spaghetti western. Il richiamo con il cinema “di genere” italiano è funzionale, per quanto la musica dei film leoniani di Ennio Morricone, che riecheggia ogni tanto, lasci più perplessi che convinti, così come l’utilizzo di una carabina Winchester da parte del maggiore Andrej in luogo dell’arma in dotazione. Ma il regista vuole divertirsi e divertire, e lo fa ampiamente capire con i continui riferimenti al gioco delle carte e dei dadi, e, in definitiva, ci riesce anche. Importante per questo sono i variopinti personaggi, tra cui spicca la coppia di mercenari Frank (Amza Pellea) e “il Genovese” (Cornel Girbea). Si tratta di due figure davvero spassose, ma anche valide dal punto di vista dell’azione violenta, per cui in grado di reggere alla grande sia i toni “leggeri” che quelli più serrati. La cosa più interessante del film, unitamente al fondamento storico che è un buono spunto per approfondire gli avvenimenti, è proprio la loro evoluzione. I Nostri sono due individui davvero poco raccomandabili, capaci di cavare con la tenaglia un dente d’oro ad uno sprovveduto commilitone colto assopito durante la guardia. Opportunisti, scaltri, ubriaconi, dediti al gioco, violenti, quando si troveranno messi l’uno contro l’altro non esiteranno a scannarsi o imbrogliarsi. Eppure, nel momento davvero cruciale, entrambi riescono a cavar fuori dalle loro animacce nere un barlume di umanità che gli permetterà di scampare anche stavolta la pelle. Oltre che recuperare un minimo di dignità; che dire, due veri eroi. Perlomeno di cialtronesca simpatia.






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lunedì 11 agosto 2025

EROI PER CASO

1712_EROI PER CASO , Italia 2011. Regia di Alberto Sironi

E’ certamente un pregiudizio, ma accostare Flavio Insinna e Ambra Angiolini (più degli altri del cast) ad un tema delicato e sentito come la Grande Guerra, così, ad orecchio, sembra un azzardo oltre al lecito. Ma Alberto Sironi aveva dato già prova di avere uno speciale intuito, per questo genere di cose, quando aveva scelto Luca Zingaretti come protagonista della fortunata serie Tv Il commissario Montalbano. Pare, addirittura, che Andrea Camilleri, l’autore e creatore del personaggio in questione, non fosse affatto convinto della scelta tanto che sbottò: “Io lo avevo immaginato diverso, ho scritto un'altra cosa!". Come noto, proprio la figura del commissario ben impersonata da Zingaretti è uno dei punti di forza della produzione. E quando vediamo Eroi per caso, film televisivo in due puntate dedicato alla Prima Guerra Mondiale italiana, abbiamo un’ulteriore conferma in tal senso. Perché Insinna, nel ruolo di Cesare Magnozzi, fotografo romano arruolato nel regio esercito, se la cava in modo agevole e anche la Angiolini, a cui la storia regala la parte tragicamente eroica, fa altrettanto. Interessante, e probabilmente funzionale alla riuscita dell’interpretazione dell’Ambra nazionale, la scelta di affibbiarle un personaggio muto, forse ricordando come in Dobermann (1997, di Jan Kounen), Monica Bellucci aveva sciorinato un’interpretazione a suo modo memorabile con un ruolo nella simile condizione. Pare, infatti, che la corretta dizione della lingua italiana non sia tra le prerogative degli interpreti del belpaese; si pensa forse di sfruttare la genuinità della parlata fortemente accentata quando non dialettale ma si tratta di un elemento limitante nel momento in cui la Storia del cinema in Italia è stata forgiata dalla straordinaria abilità dei doppiatori della nostra tradizione. Vedere i nostri attori parlare come il vicino di casa, quando gli interpreti stranieri li abbiamo sempre sentiti scandire un italiano perfetto spesso si rivela un clamoroso autogol. Tuttavia in un contesto come quello della Grande Guerra l’inflessione dialettale è accettabile, ma probabilmente esagerare con le disparate provenienze avrebbe minato la credibilità del racconto. Nel quale abbiamo il Magnozzi che parla romano, Lulù la Belle (Serena Rossi) napoletano, mentre don Silvano (Neri Marcorè) e Piero Vanin (Michele Alhaique) se la cavano con un italiano senza particolari inflessioni e, nel complesso una volta contemplate le classiche comparse che fanno le battute nei dialetti del posto, l’equilibrio generale funziona. La questione linguistica non è secondaria, anzi, è uno dei presupposti alla funzionalità del racconto filmico: spesso la credibilità dei prodotti italiani è infatti minata proprio da dialoghi improbabili. Eroi per caso, pur non essendo certo un capolavoro e nemmeno un film degno di particolare segnalazione, funziona grazie al dosaggio di questi elementi. Insinna scorrazza per il film ma ha, tutto sommato, un certo garbo, una certa discrezione (si veda nelle avances al personaggio della Rossi); Marcorè tiene la barra dritta con professionalità e Alhaique è di supporto. Sul versante femminile la Angiolini lavora sottotraccia (non avendo i dialoghi che ne ostentino l’evidenza) ma proprio per questo risulta particolarmente convincente quando si guadagna i suoi spazi; bene anche la Rossi che gioca un po’ col suo ruolo in modo funzionale. La vicenda è solo un pretesto per vedere questi protagonisti inseriti in un contesto storico infarcito di personaggi giustamente (visto il tenore dell’opera) stereotipati. Il ritmo narrativo c’è e questo è certamente un altro elemento a favore di Sironi che, quindi, se la cava in modo egregio in un’operazione che, come detto forse per pregiudizio, sembrava davvero rischiosa. Ma onore al merito.    


Ambra Angiolini 




mercoledì 23 luglio 2025

93: BATTLE FOR UKRAINE

1702_93: BATTLE FOR UKRAINE , Ucraina 2018, 2020 e 2023. Regia di Lydia Guzhva


A scoprire che si tratta di una produzione indipendente, imbastita dall’esordiente regista Lydia Guzhva e dal militare Vadym Veydi, in origine giornalista freelance e in seguito arruolatosi nell’esercito ucraino, si rimane sorpresi per la professionalità e la cura formale che contraddistingue 93: Battle for Ukraine. Si tratta di un documentario storico bellico suddiviso in tre capitoli, che ripercorre cronologicamente le prime fasi della guerra russo-ucraina attraverso l’operato della 93sima Brigata Corazzata Kholodnyi Yar dell’esercito di Kyiv. Lo schema del film ricorda i documentari dei canali tematici come History Channel, con interviste, scene dal vero e mappe degli eventi, che permettono di comprendere in modo chiaro ciò che avviene sul campo di battaglia. Il primo capitolo, First Days of War - The story of the 93rd Brigade Kholodnyi, realizzato nel 2018, incomincia documentando le difficoltà incontrate dall’esercito di un Paese che non si aspetta di ritrovarsi coinvolto in una guerra, con problemi come la mobilitazione, l’addestramento delle truppe, e l’approvvigionamento di armi. Il fatto che i separatisti, di loro altrettanto impreparati, abbiano avuto sin da subito il pronto appoggio dell’esercito russo, un’autentica macchina guerra organizzata e astutamente preparata già in precedenza all’evenienza, ha acuito le difficoltà dei nazionalisti. Tuttavia, non c’è come una guerra per velocizzare i tempi di apprendimento e, ben presto, si entra nel vivo degli scontri. Tra gli episodi bellici rilevanti raccontati nel primo episodio il più tremendo è il terribile Calderone di Ilovays'k, un’autentica carneficina con gli ucraini fatti a pezzi dal bombardamento russo mentre cercavano di ritirarsi. Stando alla versione ucraina e occidentale, i filorussi avevano promesso un «corridoio  verde», un passaggio che avrebbe consentito ai nazionalisti di evacuare l’area incolumi: in realtà era la più infida delle trappole e il battaglione fu praticamente distrutto.
Il 14 agosto 2020, a Leopoli, venne presentato il secondo capitolo dell’opera, presso il Lviv Film Center; queste le parole del coautore di 93: Battle for Ukraine, Vadym Veydi: “Nonostante il fatto che ci sia una triste tendenza al sostegno alle posizioni filo-russe da parte di alcuni media civili ucraini, la situazione nelle forze armate ucraine è notevolmente migliorata rispetto alla situazione all’inizio della guerra. Sono stati creati servizi per la stampa e sono arrivate persone ideologicamente interessate a svilupparli... Che video che solo ora vengono mostrati alle forze armate ucraine! Sono pieni di patriottismo, forza e fede!” [Maria Kull, La Prima del documentario militare 93: Battle for Ukraine si è svolta a Leopoli, dal sito GalInfo.com.ua, pagina web https://galinfo.com.ua/news/u_lvovi_vidbulasya_premiera_viyskovodokumentalnogo_filmu_93_biy_za_ukrainu_348967.html, visitata l’ultima volta il 28 dicembre 2024]. L’entusiasmo ardente dello sceneggiatore del documentario rivela la matrice apertamente schierata di 93: Battle for Ukraine, cosa del resto già ben evidente guardando il film. Si tratta, in buona sostanza, di un’opera di propaganda, pienamente lecita in tempo di guerra da parte dei soggetti coinvolti, alla quale lo spettatore neutrale può approcciare senza problemi o timori, a patto di  tenere ben presente la natura dell’operazione. Il secondo capitolo, War Diary of the 93rd Brigade Kholodnyi si apre con alcuni interessanti considerazioni di Roman Huba «Malyi», comandante del primo battaglione, e Oleh Mikats «Desna», comandante dell’intera brigata. Secondo i due ufficiali, la guerra russo-ucraina fu preparata per tempo dal Cremlino, addirittura una quindicina d’anni prima dell’annessione della Crimea, l’evento che diede il là alle operazioni di Mosca. Huba fa un resoconto evidente: ai tempi della dissoluzione dell’Unione Sovietica, l’Ucraina vantava un esercito forte di 450.000 militari, che scesero nel tempo a 80.000, per arrivare, con gli uomini pronti all’azione, ai soli 6000 mila nel 2014. Mikats è perfino più esplicito, accusando di quest’opera di distruzione dell’esercito ucraino gli ultimi due ministri della difesa, di cui sottolinea il fatto che fossero russi. La realtà è un po’ più complessa da stabilire, ma non deve essere molto diversa da quanto dichiarato dal comandante della 93sima Brigata. Forse l’ufficiale si riferisce a Dymitro Salamatin, nato in quello che ora è il Kazakistan e Ministro della Difesa nel 2012, accusato, tra le altre cose, di tradire il Paese in favore della Federazione Russa [dalla voce di Wikipedia inglese dedicata a Dymitro Salamatin, pagina web https://en.wikipedia.org/wiki/Dmytro_Salamatin, visitata l’ultima volta il 28 dicembre 2024] e a Pavlo Lebedyev, nato effettivamente in Russia e Ministro della Difesa tra il 2012 e il 2014, accusato di diserzione [dalla voce di Wikipedia inglese dedicata Pavlo Lebedyev, pagina web https://en.wikipedia.org/wiki/Pavlo_Lebedyev, pagina web visitata l’ultima volta il 28 dicembre 2024]. Per quanto, accuse simili sono state indirizzate anche al Ministro della Difesa precedente, Mykhailo Yezhel, in carica dal 2010 fino al 2012 reo, secondo i tribunali ucraini, di aver venduto indebitamente due bombardieri alla Russia e di diserzione [dalla voce di Wikipedia inglese dedicata Mykhailo Yezhel, pagina web https://en.wikipedia.org/wiki/Mykhailo_Yezhel, pagina web visitata l’ultima volta il 28 dicembre 2024], per non parlare di quelle rivolte al Capo di Stato Maggiore Volodymir Zamana che, secondo il procuratore militare, avrebbe privato l’Ucraina del suo sistema di difesa avendo sciolto le divisioni missilistiche [dalla voce di Wikipedia inglese dedicata Volodymir Zamana, pagina web https://en.wikipedia.org/wiki/Volodymir_Zamana, pagina web visitata l’ultima volta il 28 dicembre 2024]. Insomma, le parole degli ufficiali della 93sima Brigata non sembrano affatto campate per aria e gettano una luce diversa su tutta quanta la crisi. Per quel che concerne le operazioni belliche, il secondo episodio si concentra sull’Assedio all’Aeroporto di Donets'k, dove i nazionalisti furono in grado di resistere quasi quattro mesi ai pesanti attacchi dell’artiglieria filorussa. Un’altra pagina di epica che, peraltro, gli ucraini si sarebbero risparmiati volentieri; ma è altresì vero che questi episodi stanno cementando sempre più il patriottismo della popolazione sotto attacco. Come Fisica insegna, «Ad ogni azione corrisponde un’azione uguale e contraria», [Terzo Principio della Dinamica] pertanto le manovre di Putin stanno sortendo anche effetti non certo favorevoli ai suoi stessi scopi.  
   
Stando al trailer, il terzo capitolo della serie, al momento ancora in lavorazione, continuerà a seguire le vicende dell’esercito ucraino nella guerra contro l’invasore, fornendo un rapporto dettagliato, ad esempio, sulla Battaglie di Marinka o Pisky. Non resta che aspettare la diffusione del documentario.




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lunedì 21 luglio 2025

VOYNA RADY MYRA / WAR FOR PEACE

1701_VOYNA RADY MYRA / WAR FOR PEACE , Ucraina 2020. Regia di Yevhen Titarenko

Uno delle note più interessanti di Vouna Rady Myra/War for Peace è una didascalia iniziale, che ci ricorda come, nel 1994, l’Ucraina, accettando il trattato di non prolificazione delle armi nucleari in oggetto al Memorandum di Budapest, ottenne in cambio dell’adesione la garanzia sulla propria integrità territoriale. Tra i Paesi firmatari presenti al tavolo dell’accordo c’erano Stati Uniti, Regno Unito e quella Federazione Russa che, meno di dieci anni dopo, lo violava palesemente annettendo la Crimea e inviando le proprie truppe a sostegno dei separatisti del Donbas. Per il resto, il documentario di Yevhen Titarenko è un resoconto fedele della guerra in prima linea, dal momento che il regista è anche un membro del Battaglione Hospitallers, volontari aggregati alle truppe con compiti di assistenza medica di soccorso e recupero dei feriti. Il che è certamente doppiamente lodevole, sia per il lavoro di salvataggio e sia, restando in tema cinematografico, per l’attendibilità delle immagini registrate. L’unico problema per questo tipo di registrazioni è che producono un certo disorientamento, quando non mal di testa o addirittura nausea, nello spettatore, per via delle scene continuamente in movimento disordinato e caotico. Le situazioni sono ovviamente molto interessanti, tuttavia l’ondeggiamento sussultorio concede pochissima tregua e diventa un po’ arduo rimanere concentrati sulla visione, sebbene la cosa sia anche comprensibile, soprattutto durante gli scontri e le battaglie. È lo scotto da pagare per avere immagini direttamente dal vivo dell’azione. A titolo d’esempio, basti dire che il regista riprende in diretta ben due incidenti stando a bordo di una delle auto coinvolte: la prima è uno scontro con un carro armato, filmato, come detto, dall’interno della vettura, e, nel parapiglia, si fatica, per la verità, a capire che diamine succeda. Più semplice intuire la dinamica del successivo incidente, quando per via della neve ghiacciata Titarenko e l’autista finiscono fuori strada. Dettagli, certo, perché il filmato conserva tutta la sua importanza come documento. Ecco, il punto è forse questo: Vouna Rady Myra/War for Peace è un documento più che documentario, perché il cinema, ad essere onesti, è qualcosa di un filo differente.        




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martedì 15 luglio 2025

DISONORATA (1931)

1698_DISONORATA (Dishonored), Stati Uniti 1931. Regia di Josef von Sternberg

Da un punto di vista visivo Disonorata di Josef von Sternberg con la divina Marlene Dietrich è un film molto affascinante. La storia in sé, invece, non appare troppo convincente e questo è forse un limite che stavolta il grande regista di origine austriaca non è riuscito a mascherare a dovere. Abilità nella quale l’autore era in genere sublime maestro: del resto il tema delle maschere è onnipresente anche in Disonorata, dalla festa carnevalizia ai travestimenti a cui si sottopone la Dietrich. E poi, in qualità di racconto della Prima Guerra Mondiale ambientato tra gli alti ufficiali degli Imperi Austroungarico e Russo, con loro caratteristiche uniformi, Disonorata sembra quasi un film in costume. La protagonista poi, passa da due ruoli che prevedono in un certo senso l’utilizzo di maschere: è una prostituta, e quindi si veste secondo i codici del desiderio, che diviene una spia, nome in codice X-27, che del travestimento fa uno degli strumenti per ingannare il nemico. E, in definitiva, Disonorata è un inganno: a partire già dal titolo, sebbene pare che von Sternberg avesse previsto X-27 per intitolare l’opera. Tuttavia il Disonorata poi scelto è funzionale: Marie, il personaggio della Dietrich, è disonorata per aver tradito il proprio paese nel momento in cui agisce, per la prima volta, per vero amore, e quindi semmai con azione degna del più alto onore. E’ un film importante, Disonorata, sia per von Sternberg che per la Storia del cinema in generale; Marlene merita un discorso a parte, essendo una vera divinità cinematografica e quindi al di fuori, meglio al di sopra, queste classificazioni. Disonorata è importante perché ribalta completamente il ruolo della donna nell’economia di un racconto di avventure; per di più un racconto di guerra, e quindi un racconto maschile per antonomasia. Certo, si parla di spie e questa attività, con il tema del mascheramento e dell’inganno, rimette in gioco la figura femminile in modo già noto all’epoca: la donna è da sempre maestra nell’arte del desiderio e quindi dell’inganno e questo la rende perfetta per il ruolo di spia. Ma l’operazione di von Sternberg è sopraffina e niente affatto scontata. 
Ovviamente con Marlene sullo schermo per la maggior parte del tempo se ne sfrutta la capacità seduttiva: difficile trovare qualche altro esempio con il fascino che aveva la diva di origine tedesca. E nel film, non si eccede nemmeno troppo, in questa direzione, tanto che con l’attendente zarista la nostra X-27 gioca a fare l’ingenua contadina russa perdendo tempo senza concedere nulla, in termini piccanti, al povero ufficiale. Certamente più consono alla fama della Dietrich il modo in cui gioca il colonnello Hindau (Warner Oland), l’ufficiale austriaco traditore, nella prima parte del film. Ma il passaggio cruciale è quello decisivo ed è di tutt’altra natura: ovvero quando offre la possibilità di fuggire all’acerrimo nemico, il colonnello russo Kranau (Victor McLaglen). Kranau è una spia e si è già scontrato due volte con X-27, la seconda delle quali venendo sconfitto e graziato dall’uso di un semplice sonnifero da parte della donna. Ora Kranau è prigioniero, è stato riconosciuto come pericolosissima spia e quindi va incontro a morte certa. Marie non dimentica, però, che l’uomo le concesse una notte d’amore quando era lei a trovarsi in quella scomoda posizione; o forse erano state le parole dell’ufficiale, che aveva più volte detto di essersi innamorato di lei, a farle sciogliere l’ostentata freddezza sentimentale. 
Fatto sta che ora Marie amava quell’uomo condannato a morte e, lasciandolo fuggire, si sacrificava al suo posto. L’aspetto inconsueto non è nell’estremo sacrificio della donna per l’uomo amato; ma è che la donna, in questo caso, ha soppiantato l’uomo nel suo ruolo. In pratica è la damigella in pericolo a salvare il cavaliere. Marie è una spia tanto quanto Kranau, ma è stata più in gamba di lui; ora è lei ad avere la pistola dalla parte del manico (riferimento, se vogliamo, anche fallico). Ciononostante la Dietrich ha fatto questo senza perdere un grammo del suo fascino femminile ma semmai condensando su di sé i ruoli attivi, rilevanti e dominanti. Kranau è un bellimbusto, aitante e sorridente, ma non può andare oltre ad una certa verve fisica. Non a caso, probabilmente, è interpretato da Victor McLaglen, un attore bravo ma senza lo spessore, anche scenico, di un Gary Cooper o di un John Wayne. Il suo ripetere più volte la parola amore, il più profondo dei sentimenti, fa il paio con la superficialità con cui, appena vede uno spiraglio per fuggire, vi si butta a capofitto senza nemmeno accorgersi che Marie aveva volutamente, e in modo smaccatamente esplicito, perso la pistola di mano per favorirlo. Il finale, con la fucilazione della donna ritornata nei panni di prostituta, chiude il film in un cerchio perfetto. Con un suicidio di una donna di facili costumi si era aperto Disonorata, con un suicidio (di fatto) di una donna della stessa risma si chiude. Come a smentire che con il suo film von Sternberg abbia detto qualcosa di nuovo: se siamo degli ottusi come Kranau o gli ufficiali austriaci, non abbiamo di che preoccuparci. Diversamente, sapremo perché Marlene Dietrich è Marlene Dietrich.      





Marlene Dietrich 







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