1033_IL TRADITORE . Italia, 2019; Regia di Marco Bellocchio.

Sul momento, quando si concretizza l’ultima scena, si
rimane un po’ sorpresi, poi lo stupore evapora ma ci lascia in eredità un
dubbio. A farci scordare che tra le tante sottotrame che compongono Il
traditore, ce n’era ancora una sospesa era stata forse la complessità del
castello narrativo del capolavoro di Marco Bellocchio? Narrativamente corposo e
molto ben costruito, il film che racconta la vita di Tommaso Buscetta (uno
strepitoso Pierfrancesco Favino) si muove tra continui flashback interessando
decine di personaggi noti e eventi di grande risonanza. Normale che, a fronte
di momenti ad altissima densità drammatica, la strage di Capaci o il
maxiprocesso a Cosa Nostra, una piccola trama possa venire per un attimo
accantonata dalla memoria. Oppure… Oppure anche noi, come insegna Jorge Luis
Borges, ci eravamo convinti che Buscetta fosse l’eroe della nostra storia?
Ecco, nel caso, Marco Bellocchio, che è un autore serio, ci ricorda chi fosse
Tommaso Buscetta: un tizio capace di ammazzare un altro uomo solo perché ha
avuto questo incarico. Un passaggio che va tenuto bene a mente, non a caso
Bellocchio ce lo fa vedere prima di chiudere il film, così nessuno se lo può
scordare. Ma questo non certo per infangare la memoria di don Masino, così
veniva chiamato Buscetta tra i mafiosi, visto che è lui stesso a negare di non
essersi mai pentito della sua affiliazione a Cosa Nostra. Il punto è che
se si affronta la Storia d’Italia con i paraocchi di questa o quella parte non
si arriverà mai alla verità. E questo anche nel caso ci si schieri sulla
prospettiva dello Stato anzi, a maggior ragione questo visto che in troppi
casi, in Italia, le istituzioni hanno dimostrato di non essere riferimenti
attendibili in senso di onestà e rettitudine. La cosa è strettamente inerente
alle vicissitudini del primo traditore della mafia e, quindi, del film di
Bellocchio: per le istituzioni giudiziarie italiane Buscetta diviene, durante
il maxiprocesso, la fonte della verità, salvo poi perdere drasticamente
credibilità quando le sue dichiarazioni vanno a coinvolgere Giulio Andreotti (Pippo
Di Marca), figura tra le più importanti di sempre del panorama politico nostrano.
Il che potrebbe anche essere legittimo, per carità, un testimone può dire il
vero in una circostanza e mentire nell’altra ma Il traditore si sofferma
sul confronto tra l’avvocato di Andreotti e Buscetta, un interrogatorio teso a
screditare la figura del famoso pentito.


Che, in un paese tradizionalista come
l’Italia, non è che sia mai stata al vertice della popolarità, sia chiaro: chi
tradisce è un infame a prescindere dalla parte in causa. Terribile, in un certo
senso anche in quest’ottica, lo sfogo della sorella di Buscetta, appena
divenuta vedova per ritorsione della mafia verso la famiglia del traditore, che
lo copre di ogni insulto possibile. Una situazione, quella della donna, in
parte condivisibile, per via del fresco lutto, ma in sostanza sconcertante,
perché la vera causa della morte del marito è la presenza della mafia e non il
tradimento del fratello. Ma va riconosciuto che è difficile barcamenarsi in un
simile contesto: un po’ come di fronte alle scelte registiche che Bellocchio
deve compiere. Perché la mafia, e nello specifico la guerra tra i clan di
Corleone e di Palermo, è un evento di grande importanza nella Storia d’Italia, un
evento che al cinema, se raccontato bene, finisce inevitabilmente per divenire
un filmone. Bellocchio, in realtà, cerca di mostrare la contabilità dei morti
ammazzati con uno stratagemma degno di un melò degli anni Cinquanta, senza
trasformare del tutto Il traditore in un crime movie adrenalinico. Ma la
drammaticità degli eventi, il carisma dei nomi in ballo – dentro la
storia ma anche tra gli interpreti, in primis quello di Favino – il fascino della
ricchezza e dei suoi benefici – incarnato dalla bellissima Cristina (Maria
Fernanda Cândido) – in fin della fiera fanno di quella di Bellocchio un’opera
che si divora esattamente come un bel film di gangster. Che poi, pensandoci, è
anche giusto: in fondo il proibizionismo in America fu un periodo socialmente difficile
ma questo non vietò al cinema di ricavarci film che fossero anche godibili e
divertenti.

Uno dei problemi italiani, e non solo del cinema, è che non ci si
sveste mai della casacca di guelfi o ghibellini del caso, che si insiste sempre
a raccontare i fatti e gli eventi in modo fazioso, di parte. E che si mascheri
questo essere perennemente schierati, spesso dietro ad un approccio impegnato,
diversamente diverrebbe un gioco troppo scoperto. Con questo, il rischio che
Buscetta faccia la figura dell’eroe nel film di Bellocchio è concreto e non del
tutto meritato. Ma è un rischio che va preso, perché qualche merito il pentito
più famoso d’Italia ce l’ha avuto e gli va riconosciuto. Parlarne, raccontarne
le gesta, cercando di mantenersi equilibrati nella prospettiva utilizzata, è
necessario perché tutte le figure chiave di un paese hanno le loro zone
d’ombra, alcune più ingombranti altre meno, ma non si può negare l’importanza
di alcuni protagonisti della nostra Storia solo perché c’è il rischio di
elevare al rango di eroe persone di discutibile – discutibilissima, se vogliamo
essere onesti – moralità. Ecco, per una volta il nostro cinema agisce con
coraggio, senza nascondere il disagio o la paura dietro quel tipico aspetto
autoriale che permette di mettere in scena qualunque cosa senza che sia ben
chiaro cosa.

Il traditore è un bel film d’azione, un film di mafiosi con
personaggi importanti e carismatici: Buscetta, ovvio, ma anche Toto Riina (Nicola
Calì) e Pippo Calò (Fabrizio Ferracane); e ci sono anche personaggi
pittoreschi, come Salvatore Contorno (Luigi Lo Cascio), mentre tra i buoni
spicca la figura del giudice Giovanni Falcone (Fausto Russo Alesi) che con la
sua intesa con Buscetta certifica un qualche valore positivo di questi, per le
istituzioni, per lo Stato e quindi, anche solo come conseguenza, per il popolo.
In questo senso quello di Bellocchio diviene un film di importanza capitale:
perché, come detto, gli italiani ben difficilmente possono avere simpatia per
un infame. Ma se un’intesa e una sintonia, quindi una simpatia, con il
traditore in questione un eroe conclamato come Falcone – quel giudice esibito e
sbandierato come simbolo di giustizia da quello stesso popolo – invece ce l’ha,
allora serviva davvero un film importante, bello e popolare, per scuotere un
po’ le convinzioni della gente. Buscetta è una figura chiave nella Storia
d’Italia, anche se quando ha pestato i calli sbagliati si sono affrettati a
denigrarne forse oltre il lecito la credibilità. Ma, a parte queste tipiche
beghe d’interesse contingente, fu il cardine che permise di mettere un freno al
dilagare della mafia. Non un eroe, e l’omicidio a sangue freddo che inaugurò la
sua affiliazione Bellocchio ce lo piazza la fine, mica che ce lo si dimentichi.
Ma fondamentale, questo sì. Come Il traditore, il film di Marco
Bellocchio.






Maria Fernanda Cândido
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