1706_ADDIO MIA BELLA SIGNORA , Italia 1954. Regia di Fernando Cerchio
Il titolo del film del bravo Fernando Cerchio Addio mia bella signora,
riecheggia la famosa canzone risorgimentale Addio mia bella addio (1848,
di Carlo Alberto Bosi) che, in effetti, nella pellicola viene intonata un paio
di volte. Il racconto filmico è, infatti, ambientato durante la Prima Guerra
Mondiale e i temi patriottici erano quindi pertinenti; una scelta
condivisibile, visto che, al cinema, non c’è niente di meglio della musica per
creare la giusta atmosfera. Per altro quello di Cerchio è un melodramma, di
quelli tosti degli anni cinquanta, e quindi, ecco che ancora più importante del
pezzo patriottico citato è la canzone Addio mia bella signora (a volte
indicata come Addio signora, in questo caso cantata da Giacomo
Rondinella stando ai titoli di testa del film o da Elio Mauro secondo il sito
IMDb). La questione della canzone non è secondaria in quanto il pezzo divenne
celeberrimo (riproposto, tra gli altri, nel corso degli anni da Gino Tajoli e
da Claudio Villa) e nel film è usato magistralmente da Cerchio come effetto
trainante. Sulle struggenti note della canzone melodica, le scene romantiche
tra Cristina (un’elegante Alba Arnova) e Guido (Armando Francioli) sono girate
con stile calligrafico impeccabile dal regista, quasi un videoclip dal sapore
impressionista, ma il nocciolo della questione è altrove. Cristina, infatti, è già
sposata con il colonnello Riccardo Salluzzo (un monumentale Gino Cervi), uomo
decisamente più attempato della giovane moglie. La Grande Guerra è
scoppiata e il colonnello è partito per il fronte; a badare alla lussuosa
magione è rimasto il suo attendente Giuseppe (un altrettanto monumentale Nino
Pavese) troppo anziano per svolgere il suo ruolo in prima linea. Guido aveva
adocchiato Cristina prima che questa si sposasse ma aveva dovuto desistere di
fronte al matrimonio della ragazza. Ora però, col marito assente, complice
alcune amicizie comuni (tra cui val la pena citare Marco interpretato da un già
pimpante Franco Fabrizi), il giovanotto poteva tornare a fare il cascamorto con
la giovane sposa. Qui c’è un passaggio cruciale nell’economia della disputa
morale che scaturirà dalla torbida storia (del resto si tratta di un melò
strappalacrime): Clara (Laura Gore) invita Cristina ad una festa in onore dei volontari
universitari quando il colonnello non è ancora partito per la guerra. Alla
festa la ragazza incontra nuovamente Guido che subito coglie al volo
l’occasione per corteggiarla; ben sapendo che questa è una donna sposata.
Poi,
certamente quello tra Cristina e il colonnello non era un matrimonio di cuore,
diciamo così, e la ragazza non era felicemente innamorata del marito; ma la
scorrettezza di Guido, il suo tempismo opportunista, rimane evidente. Anche
perché, pur proclamandosi volontario universitario, mentre il colonnello
è in prima linea il giovane si guarda bene dall’arruolarsi e pensa a fare la
bella vita con Cristina e gli amici. La situazione di idillio temporaneo, in
quanto è evidente che prima o poi lo spasso finirà, è interrotta da un colpo di
scena: dal fronte arriva la notizia che il colonnello è morto. Cristina,
dimostrando un certo spessore morale, è turbata dai suoi sentimenti, dalla sua
irrefrenabile gioia che sovrasta il pur timido dispiacere per la morte di un
marito che, seppur sia sempre stato buono nei suoi confronti, non ha mai amato.
Di ben altra pasta è fatto Guido che invece minimizza gli scrupoli e la sprona
ad un deciso cambio di passo, ora che è libera dai precedenti vincoli. Per
festeggiare il natale e la decisione di sposarsi, niente di meglio che andare
in campagna con gli amici: quando giunge un’altra notizia dal fronte, che
ribalta nuovamente la situazione. Il colonnello non è morto, è tornato mutilato
agli arti inferiori. Cristina, sentendosi colpevole, rivede i suoi programmi ma
Guido non molla e minaccia di rivelare al marito della loro tresca se non ci
penserà la ragazza a chiarire la questione. Il torbido drammone è ben
strutturato con i giusti incastri narrativi e il colonnello arriva a conoscere
la verità e gioca d’anticipo mettendo sotto muto ricatto morale la moglie, in
una situazione che si fa sempre più tesa. Guido scalpita, Cristina è
insofferente, il colonnello istiga sornione: notevole la condotta in regia di
Cerchio. Poi, quando la tensione arriva all’acme, è il vecchio militare a fare
un passo indietro. Mentre Guido si è finalmente deciso ad arruolarsi pur di
smuovere Cristina dal suo stallo, e la ragazza ormai ha ceduto, il colonnello
medita il suicidio per farsi da parte. Giuseppe, figura sempre presente e
incaricata di facilitare gli snodi della trama, se ne accorge per tempo e
avverte Cristina. La donna, vedendo che l’anziano marito è pronto a togliersi
la vita pur di non ostacolarne la felicità, decide di dare corpo alle parole
della canzone che dà il titolo al film, lasciando Guido ad attenderla
inutilmente al solito appuntamento. Il melodramma, genere che spesso ha una
forte matrice morale, è quindi compiuto: i personaggi, in un modo o nell’altro,
finiscono per fare il proprio dovere. Il colonnello ha lasciato le gambe, per
compierlo; Cristina rinuncia all’amore, per rispettare il suo legame col
marito. E Guido, sebbene è legittimo dubitare del suo reale intento, partirà
con i bersaglieri. Poco male; sentito o meno che sia, dovrà farlo di corsa.
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