1448_MONDO CANE. Italia, 1962; Regia di Gualtiero Jacopetti, Paolo Cavara e Franco Prosperi.

Il folgorante esordio in regia di Gualtiero Jacopetti,
affiancato da Franco Prosperi e Paolo Cavara, fu un successo clamoroso,
totalmente inatteso, in tutto il mondo. Può sembrare strano, oggi, ma al tempo
della sua uscita Mondo Cane ebbe, nel complesso, un positivo riscontro
anche dalla critica, almeno stando alle parole dello stesso Jacopetti [intervista
trasmessa da Rai Cinema World e visibile su YouTube].
In base a quanto dichiarato dal giornalista/regista, perfino Dino Buzzati, punta
di diamante del Corriere della Sera, espresse un giudizio positivo e sono
comunque un dato di fatto la considerazione che il film ottenne nei vari
festival cinematografici. Candidato in concorso a Cannes per la Palma d’oro, fu
in lizza anche agli Academy Awards, ai Grammy Awards e ai Laurel Awards, in
questi casi per l’eccezionale musica di Riz Ortolani, Nino Oliviero e Norman
Newell. A Taormina, ai David di Donatello, Mondo Cane si prese la
soddisfazione di vincere il premio alla Miglior Produzione. Tuttavia la critica fu molto severa con il film, e, negli anni, si inasprirà ancor più. Restando a Morando
Morandini, e al suo già citato Il Dizionario
dei film 2003, Mondo Cane è “immorale, perché falsifica la realtà,
la corregge a scopi spettacolari, (…) film ignobile, di grande successo”. Qui,
per la verità, sorge un dubbio: se ci atteniamo a quanto dichiarato da
Jacopetti, ad esempio nell’intervista già presa in esame e reperibile su
YouTube, il materiale che compone il film è tutto genuino; semmai ci sono degli
aggiustamenti in sede di montaggio. Per quanto non si debba mettere in
discussione la veridicità delle parole di nessuno, si può anche comprendere che
qualche passaggio del film sia stato preparato ad arte per l’occasione.
Tuttavia, nel suo complesso, l’opera sembra davvero essere composta da scene
che, per la maggior parte, siano reali. Alcune sequenze sarebbero, oltretutto,
difficili da realizzare da uno studio di produzione cinematografica, e possiamo
immaginare che credito, in termini di budget, possano aver avuto tre esordienti
in regia. Eppure i critici sembrano sicuri: Mondo Cane falsifica la
realtà, tanto che diverrà il riferimento per un genere di film nuovi, i citati mondo
movie, che vengono abitualmente definiti pseudo-documentari. Il problema è
che, pur partendo dal vitale presupposto che non bisogna mai prendere per oro
colato quello che vediamo sullo schermo –perfino in un documentario,
figuriamoci in un’opera che la critica presenta come pseudo-documentario– guardando
la pellicola oggi, l’affermazione di Jacopetti, “Mondo Cane è tutto
genuino” [cit. Gualtiero Jacopetti, nell’intervista reperibile al link riportato
in precedenza] sembra più attendibile della valutazione di Morandini. Intendiamoci:
non è che la breve recensione del critico sia del tutto inesatta, Mondo Cane
fa del sensazionalismo la sua cifra stilistica, questo è evidente. “La scoperta
dell’insolito e la rappresentazione della crudeltà non possono prescindere dal
rispetto per l’uomo” scrive ancora il Morandini ed è forse qui che, il critico,
cerca di mettere a fuoco il problema. Ma se il film, nella sostanza, è attendibile,
come sostiene Jacopetti, allora non è un problema del film ma delle realtà che
il film descrive. Se, viceversa, il film racconta un mucchio di fandonie, che
gli autori sono stati bravissimi ad assemblare dando l’idea di realismo, allora
si tratta di un banale film di finzione.

Ci sono decine, anzi, centinaia, di
esempi di film che sostengono di essere tratti da episodi veri e che, al
contrario, sono del tutto fittizi. E poi c’è perfino Orson Welles che, nel suo
adattamento radiofonico The War of the Worlds, spaventò mezza America,
che credette davvero che stessero arrivando gli extraterrestri; ma nessuno si
sogna, per questo, di stroncare il geniale autore statunitense. Allora, cos’è
che non va, in Mondo Cane? L’utilizzo strumentale delle immagini? Il
commento –del mitico Stefano Sibaldi, uno dei maestri del doppiaggio italiano–
a tratti quasi beffardo, e, forse, per questo, interpretabile come poco
rispettoso? Curioso che, nel caso, sostanzialmente nessuno se ne accorse al
momento dell’uscita nelle sale. Se diamo retta ai censori, a suo tempo, Mondo
Cane non ebbe infatti tutte queste noie. Stando a Jacopetti, i problemi
principali furono di natura politica e legati alla scena in cui veniva
inaugurata una statua dedicata all’attore Rodolfo Valentino in quel di
Castellaneta, paese natale del celebre interprete. Alla cerimonia furono chiamati
a presenziare Sua Eccellenza l’Onorevole Alberto Folchi e il Sottosegretario
allo Spettacolo Gabriele Semeraro; ironia della sorte, Folchi era appunto il
Ministro del Turismo dello Spettacolo, proprio l’organo che si occupava della
censura, e Jacopetti e company dovettero fare un passo indietro e accontentarsi
del sottosegretario. Pare, infatti, che con l’aiuto di una musica al ritmo di
tango, l’eloquio del politico risultasse leggermente umoristico e la cosa non
fu particolarmente gradita ai revisori del ministero. In realtà, stando ai
documenti della Censura [reperibili sul sito Cinecensura.com] la Cineriz, la casa di produzione, dovette fare anche altri interventi. Venne
tolta la scena con protagonista una prostituta, furono tagliate le parti più
efferate dove venivano uccisi alcuni maiali a colpi di bastone, vennero
alleggerite le immagini più sanguinanti dei “Vattienti”, di Nocera Terinese, in
provincia di Catanzaro, oltre alla citata eliminazione di ogni riferimento
all’onorevole Folchi.

Tuttavia, a parte la scena della prostituta –che,
peraltro, pare non fosse niente di particolare, mostrava mutande e giarrettiere–
l’attenuazione delle citate scene non rende quei segmenti narrativi poi molto
meno significativi. E, comunque, ci sono altri spezzoni, che sono ugualmente “forti”:
la decapitazione dei tori nel Nepal e, per restare in tema bovino, la Festa del
Colete Encarnato a Vila Franca de Xira, in Portogallo. In questa singolare
corrida i tori vengono affrontati a mani nude, prima da rappresentanti dei
proletari e poi dei nobili, con esiti particolarmente tragici. Anche la
vendetta dei pescatori malesi contro gli squali, rei di aver ucciso un ragazzo
e puniti facendogli ingoiare ricci velenosi, lascia esterrefatti per la
crudeltà mostrata senza reticenza. In ogni caso, non è l’efferatezza delle
immagini a condizionare negativamente il giudizio della critica italiana che ha stroncato senza appello Mondo Cane. Quello
che scandalizza, nel film di Jacoppi, Prosperi e Cavara, è che gli autori
utilizzino strumentalmente le immagini per mostrare come, ad ogni latitudine, il
mondo sia violento e, sostanzialmente, senza speranza. Nel 1962, con l’Italia
ancora nel boom economico, la cosa poteva stupire ma, a conti fatti, visto il
successo e le scarse noie con la censura,
evidentemente, il film poteva essere accettato come interessante punto di vista inusuale.
Quando la rivoluzione sessantottina sgombererà definitivamente il campo dalla
vecchia e stanca ideologia dogmatica per sostituirla con l’ottimismo ancor più
dogmatico di cui era intrisa, cominciarono i problemi. Mondo Cane usa il
metodo di mostrare le lacune delle società considerate meno evolute per
evidenziare come, di fondo, non ci siano poi tutte queste differenze con la
progredita società occidentale. Se la critica al capitalismo, era certamente
condivisa dall’intellighenzia italica, questa aveva, e ha, evidentemente necessità
di credere nella teoria del “buon selvaggio” per giustificare le proprie convinzioni.

Forse, in questo modo è possibile attribuire al capitalismo tutte le colpe, confrontando
le ingiustizie della moderna società con una visione edulcorata di una fantomatica
età dell’oro del passato, che si deve giocoforza abbinare a tutte quelle
culture che il capitalismo non ha ancora del tutto corrotto. La conseguenza di
questa teoria è la legittimazione di una regolamentazione ferrea che vada a
compensare, a suon di codici e leggi, ogni minima sfumatura della vita
quotidiana. In sostanza, la società del 2024, dove l’onnipresente Politicamente
Corretto è alla costante e frenetica ricerca di ogni possibile alterazione del
livellamento, intesa sempre e comunque come ingiustizia, in ogni campo e
materia, sociale, culturale, sessuale, ecc. ecc. Queste cose, oggi, si
stagliano in modo certamente più limpido, anche per via del clamoroso
fallimento di teorie come la globalizzazione, che sono state il frutto
di questo modo omologato di pensare. Ai tempi della Contestazione Sessantina,
il futuro era ancora da scrivere e l’idea che il comunismo –magari in una
versione illuminata, d’accordo– fosse l’inevitabile Destino a cui sarebbe andata
incontro l’Umanità, una volta superato il periodo barbaro del Capitalismo, era
ancora assolutamente saldo. Se erano accettabili, in un certo senso, le
posizioni più reazionarie, di destra o clericali, perché facilmente criticabili
come semplici tentativi di difendere il privilegio, un testo come Mondo Cane
dava davvero fastidio. Si poteva definire di destra –o fascista, com’era ed è,
in uso dire in Italia qualunque cosa non rientri nel concetto accettato come
progressista– il lungometraggio? Difficile, perché lo scopo di Jacopetti,
Prosperi e Cavara è proprio quello di mostrare come, nonostante le apparenze,
non ci sia sostanziale differenza tra il mondo cosiddetto civilizzato e le
altre culture più primitive o naturali, che dir si vogliano.

Certamente Mondo
Cane non era nemmeno di sinistra, proprio per il suo essere senza speranza
o, almeno, non mostrare un avvenire splendente giusto dietro l’angolo, come
invece si auspicavano i comunisti et similia. Il documentario –o lo
pseudo-documentario, se diamo retta ai suoi detrattori– non ha, per la verità,
una connotazione politica così scontata, ma fu probabilmente osteggiato per
questo motivo, per il suo essere scomodo per l’élite culturale del Belpaese. Mondo
Cane critica la moderna società e il capitalismo, ma senza dare la sponda
alle idee rivoluzionarie, per cui era indispensabile l’apologia delle culture
alternative. E questo può anche essere un limite, del lungometraggio, sia
chiaro; ma un limite onesto. Non c’è motivo di essere ottimisti, sembrano dire
gli autori, e quindi non lo furono. Sono passati sessant’anni e si può anche
dire, per altro, che non è che avessero tutti i torti, in questo senso. Tuttavia
Mondo Cane è, al netto della questione politica che gli costò la pessima
fama che l’accompagna, tecnicamente un capolavoro. Innanzitutto si basa su un’idea geniale:
perché inventarsi storie di finzione, quando nel mondo esistono innumerevoli
spunti reali –se prendiamo per buone le parole di Jacopetti– che possono
reggere già da soli un lungometraggio? A questo punto, la maestria degli autori
subentra alla genialità, perché poi è il superbo montaggio a trasformare
nell’eccellente film i vari segmenti raccolti in giro per il mondo. Il
montaggio, ovvero l’anima stessa del cinema, è, in Mondo Cane, l’arma
vincente, unitamente alla musica. Certo, anche la fotografia, di Antonio
Climati e Benito Frattari, o gli ironici testi recitati da Sibaldi, sono di
ottimo livello, ma insieme al lavoro in sala taglio, è la colonna sonora di Riz
Ortolani e Nino Oliviero a fare davvero la differenza.

Celeberrima la traccia
più nota, divenuta famosa con il titolo Ti guarderò nel cuore: nella
colonna sonora è in realtà intitolata Models in blue/Modelle in blu,
facendo riferimento ad uno dei segmenti narrativi di cui è composto il film. In
seguito, visto il dilagante successo, la versione inglese intitolata More,
con il testo composto da Norman Newell, dopo essere divenuta uno standard
in uso ai jazzisti, venne incisa perfino da Frank Sinatra. Tuttavia, il brano
forse migliore che si può ascoltare nel film, che accompagna ed esalta il passaggio
più importante e riuscito del lungometraggio, non è clamorosamente inserito
nella Colonna Sonora Ufficiale. Siamo verso la fine di Mondo Cane, gli
autori hanno già fatto capire i loro intenti, anche se hanno in canna un paio
di momenti mica da ridere, quello dei tori decapitati e la loro successiva
“vendetta” portoghese, ma non solo. In ogni caso, Jacopetti e compagni decidono
di inserire un segmento leggero, che non è certo l’unico, sia chiaro: siamo
alle Hawaii, dove i vecchi americani, ad occhio tutti rigorosamente WASP (White
Anglo-Saxon Protestant), si concedono una vacanza. Qui scopriamo le assai
presunte proprietà terapeutiche della Hula, la danza polinesiana in voga
nell’arcipelago, di cui vediamo un rapido saggio della danzatrice più brava,
capace, stando al narratore fuori campo, di guarire anche dalla poliomielite a
furia di ballare. Per quanto sia evidente che il ballo e il movimento siano salubri,
nel suo tono enfatico il passaggio è bonariamente ironico, ed è abbastanza
chiaro. L’inquadratura si sposta quindi sul pubblico di vegliardi americani,
che applaude convinto l’esibizione delle danzatrici; poi, arriva il loro turno.
La voce di Sibaldi si fa particolarmente melliflua e, al tempo stesso,
graffiante. “Hanno applaudito, si sono divertiti e commossi, proprio come era
scritto nel programma”. E già arriva la prima zampata, quasi che, per
l’americano, l’uomo moderno per definizione, la commozione sia un sentimento
pianificabile.

“E ora che il programma prevede una lezione di Hula, vanno ad
imparare la Hula, docili e tranquilli”, continua Sibaldi, e quel “docili e
tranquilli”, siamo negli anni Sessanta, associato a degli statunitensi, è
quantomeno ambiguo. Mentre la musica melodica della Hula si fa via via più
intensa, gli anziani in vacanza, uomini e donne, si alzano uno dopo l’altro dalla
tribunetta per partecipare alla danza. Sibaldi riprende il commento convinto:
“crede nella Hula, in sé stessa, nella propria e nell’altrui felicità, questa
candida generazione che ha lavorato sodo in gioventù e si permette un po’ di
massacrante riposo soltanto al primo insorgere dei reumatismi”. L’ironia del
commento sembra alleggerirsi, divagando sulle faticosità delle vacanze o
sull’ottimismo tipicamente yankee, ma Jacopetti e compagni, in realtà, stanno
preparando il terreno. “Crede ancora in questo ex paradiso tropicale che essa
stessa ha distrutto” boom! qui gli autori arrivano dritti al punto, accusando
ancora gli States della loro politica, dopo che, in precedenza, erano stati
mostrati anche gli effetti degli esperimenti radioattivi nelle isole dell’Oceano
Pacifico. Ma qui la critica è più feroce ed efficace, perché non è associata a
qualche organismo politico o militare, ma a degli, all’apparenza, innocui
anziani. “E dove oggi l’unica, vera, genuina, danza indigena, alla quale si può
ancora assistere, è questa” e su queste parole, gli arzilli vecchietti
cominciano ad ancheggiare seguendo pedestremente, o provandoci, i movimenti
dell’attempata maestra hawaiana. Il finale del commento per questo segmento
narrativo è solo fintamente indulgente: “l’unica, vera, genuina, danza
indigena” sottintende che le manifestazioni degli isolani siano ormai
mercificate e unicamente turistiche nel senso negativo del termine. Di contro, i
maldestri e sgraziati movimenti degli anziani americani hanno davvero qualcosa
di autentico: la loro goffaggine nel ballare, nel “sentire” la musica, in buona
sostanza, l’incapacità di capirla. Un’incapacità che, come risultato, permette loro
di ritenersi superficialmente ma sinceramente soddisfatti e appagati del loro rozzo
e posticcio scimmiottamento privo di qualsivoglia vera e autentica emozione. Una
contraddizione emblematica. Ad aiutare magistralmente il concretizzarsi di
questa feroce disamina, la musica strepitosa di Ortolani e Oliviero trasforma
la soave musica hawaiana in una sorta di marcia sinfonica che, nella sua
maestosità, celebra la razza dominante del pianeta, gli anziani americani. “Ma
non sono che vecchietti che ballano fuori tempo!” verrebbe da obiettare. È
invece qui, è in questo passaggio, che Mondo Cane rivela tutta la sua
grandezza: si vedano i recenti presidenti USA, e le loro politiche, per
cogliere la lungimiranza di Jacopetti, Prosperi e Cavara.

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