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Visualizzazione post con etichetta Enigma Franju. Mostra tutti i post
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giovedì 5 gennaio 2023

ENIGMA FRANJU_11: LA PREMIÈRE NUIT

1197_LA PREMIÈRE NUITFrancia 1958; Regia di Georges Franju.

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L’ultimo cortometraggio di Franju è La Première Nuit e sembra concretizzare tutto il suo lavoro precedente in un’opera che dimostra come l’autore sia ormai pronto per passare al lungometraggio, cosa che avverrà puntualmente l’anno successivo con il sorprendente La fossa dei disperati. I titoli di testa de La Première Nuit sono introdotti da una citazione di Boileau – Narcejac (Pierre Boileau e Pierre Ayraud autori di romanzi gialli utilizzati da Alfred Hitchock e Henri-Georges Clouzot): “basta un po' di immaginazione perché i gesti più ordinari assumano improvvisamente un significato inquietante e perché il nostro ambiente quotidiano generi un mondo fantastico. Spetta a ciascuno di noi risvegliare i mostri e le fate”. Una vera e propria dichiarazione d’intenti da parte di Franju che per La Première Nuit si avvale di un’idea originale di Marianne Oswald sceneggiata poi dalla stessa Oswald e da Remo Forlani. Pur essendo un racconto di pura finzione la trama è ridotta al minimo e i dialoghi sono totalmente assenti; in compenso la capacità di narrare per immagini di Franju ha qui raggiunto la piena maturità e il testo scorre trascinandoci in un’atmosfera da sogno. Inizialmente siamo intrigati dall’infatuazione del piccolo protagonista (Pierre Devis) per una biondina sua coetanea (Lisbeth Persson). Il ragazzo è benestante e viaggia con l’autista mentre la compagna di scuola deve utilizzare la metropolitana: una sera il giovanetto decide di infilarvici ma le cose non andranno, naturalmente, come previsto. Una volta entrato nella Metrò, il nostro baldo protagonista non trova traccia della biondina ma si perde nel dedalo di tunnel: muovendosi tra ratti e senzatetto, affascinato dalle luci delle mappe della rete ferroviaria o dalle scintille prodotte dagli operai al lavoro sui binari, il giovane, stremato, si adagia su una scala mobile fuori servizio. L’attenzione ai dettagli e ai particolari, esercitata da Franju nei suoi precedenti documentari, consente al regista di ambientare il film in modo quanto mai credibile. 

Tuttavia il passaggio clou è una divagazione fantastica: come detto il ragazzo si è addormentato sulle scale mobili fuori servizio quando all’improvviso si sveglia ma, a metterci sull’avviso che qualcosa non sia del tutto regolare, mentre il giovinetto scende le scale queste cominciano a muoversi all’indietro. In effetti la cosa non sarebbe probabile, essendo la scala non operativa, e questo ci dice che siamo entrati nella fase onirica del racconto. Convogli fantasma che passano ripetutamente, completamente vuoti se non per l’onnipresente comparsa della ricercata ragazzina, lampade che oscillano, nuove apparizioni della biondina: il ragazzino comincia a disperare. Poi, salito sull’ennesimo treno fantasma, si trova ad affiancare un convoglio sul quale viaggia l’agognata compagna: i treni rimangono appaiati, i ragazzi si guardano da vicino, separati dai vetri delle carrozze. Poi le rotaie divergono e la biondina scompare. Intanto la scala mobile fuori uso ha cominciato a muoversi davvero, trasportando il ragazzo ancora addormentato al piano di sopra. A questo punto il nostro giovinetto si sveglia davvero: è tempo di tornare a casa, uscendo dalla metropolitana e trovandosi presto in un bosco ancora più affascinante, misterioso ed inquietante del mondo sotterraneo cittadino. Ma è soprattutto tempo per Franju di lasciare i percorsi stabiliti dalle commissioni e dai soggetti mirati, per un cinema a più ampio respiro e che possa svariare sui temi più disparati. Talmente diversi tra loro che per molti, nell’epoca in cui si affermerà la politica degli autori e la ricerca dell’omogeneità stilistica dei registi, sarà difficile interpretarne la poetica.
L’enigma di Georges Franju: il suo cinema.     








mercoledì 4 gennaio 2023

ENIGMA FRANJU_10: LE THÉÂTRE NATIONAL POPULAIRE

1196_LE THÉÂTRE NATIONAL POPULAIREFrancia 1956; Regia di Georges Franju.

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L’anno successivo Franju dirige Le Théàtre National Popolare che, al solito in modo un po’ spiazzante, più che un testo dedicato al TNP vero e proprio si concentra sulla troupe e sulla tournée della compagnia diretta da Jean Vilar. Naturalmente il teatro è presente, dal regista mostrato nel suo paterno lavoro con un’intensa Monique Chaumette che prova il Don Giovanni di Moliére alla strepitosa performance di Marìa Casarès nei panni di Lady Macbeth ma a rimanere nell’occhio dello spettatore sono le parti di contorno. Un attore in costume di scena fuma una sigaretta mentre aspetta di entrare sul palco, Silvia Monfort e altri due attori si preparano in camerino, l’orchestra prova in uno scantinato… che l’interesse di Franju vada oltre il palco è simbolicamente reso manifesto dall’immagine con il sipario che si apre e al posto della scena teatrale si para dinnanzi a noi un ponte ferroviario altissimo – con tanto di treno in transito – in una scena inequivocabilmente in esterni. L’attenzione si sposta così sulle città toccate dalla tournée e per le località all’esterno Franju ricorre al vecchio stratagemma delle cartoline illustrate. Il luogo dove vive il teatro, e di conseguenza anche il cinema, non è sul palco ma la vita di tutti i giorni, la nostra quotidianità. 

Questa considerazione è alla base anche del cortometraggio Sur le pont d’Avignon che è girato mentre la troupe di Franju è in attesa nel tempo che intercorre tra le due rappresentazioni filmate ne Le Théàtre National Popolare nel festival della città antica sede papale. Il cortometraggio, di soli dieci minuti, si contraddistingue per essere a colori, il primo girato da Franju, ed è diviso in tre parti: si comincia con uno sguardo panoramico sulla città, con le immagini del Palazzo dei Papi a dominare la scena. Durante la visita agli interni e agli affreschi l’incursione di un ragazzino che gioca anticipa la seconda sezione del cortometraggio, dove altri fanciulli sono alle prese con diverse attività ludiche. Alle quali partecipa anche un cane, subito benevolmente redarguito dal padrone, e la mente non può non tornare al povero Pierrot abbandonato al suo triste destino in Mon Chien. Una serie di cartoline, in bianco e nero, appese in un chiosco è il pretesto per Franju per mettere in scena un po’ del suo cinema: realismo - le immagini fotografiche – e fantasia – l’idea che scorrendole possano divenire cinema. Ma è solo un’impressione perché incalza la festa nazionale del 14 luglio e il regista vuole documentare un po’ di sana vivacità popolare condita addirittura dai fuochi artificiali.

Nel 1957 Franju, nonostante il suo anticlericalismo, accetta l’incarico del Ministero delle Belle Arti per un documentario sulla cattedrale Notre Dame di Parigi. L’autore bretone era ormai abbastanza noto e il Ministero si premunisce da eventuali sorprese: il cortometraggio deve limitarsi all’architettura dell’edificio, preti e funzioni vanno lasciati perdere. Notre-dame, cathédrale de Paris è comunque un valido esercizio di stile oltre ad esaudire le richieste del committente; Franju muove la macchina da presa con panoramiche sugli ampi spazi, alternando inquadrature fisse a carrellate quasi ad enfatizzare ulteriormente ogni viaggio della ripresa. Una sovrapposizione dell’immagine della cattedrale sul riflesso di una vetrina di un negozio di giocattoli è il passaggio forse più noto, in cui il paragone tra l’antico edificio e la città modernizzata che la circonda evidenzia la capacità di viaggiare – di qui il costante movimento della macchina da presa – nel tempo della nave di pietra
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Monique Chaumette



Silvia Monfort



Marìa Casarès


martedì 3 gennaio 2023

ENIGMA FRANJU_9: MON CHIEN

1195_MON CHIENFrancia 1955; Regia di Georges Franju.

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Dello stesso anno è Mon Chien, cortometraggio che la Società per la Protezione degli Animali premia con l’Oiseau Bleu, il suo più alto riconoscimento. In effetti Mon Chien è un bel film, ben diretto e intriso di quell’equilibrio tipico di Franju per cui si può dire che è straziante eppure in modo sobrio e discreto. Da notare che il tema civico del film, la condanna dell’abbandono degli animali da parte dell’uomo, è esplicita e consapevole e il film, come detto, è del 1955, praticamente venti o trent’anni in anticipo sulle campagne sullo stesso argomento che furoreggeranno in giro per il mondo in seguito. Ma, al di là della sua lungimiranza, Mon chien è un bel film e i suoi meriti vanno oltre la giusta condanna all’odiosa pratica dell’abbandono degli animali. Il film ha come protagonista il cane Pierrot (interpretato da Rex) un pastore tedesco, per cui i dialoghi sono ridotti al minimo: un ruolo importante l’avrà la musica di Henri Crolla, spesso dolce e melodica a far da contrasto con il clima narrativo del racconto anche se non mancano i passaggi che creano tensione anche grazie al commento sonoro. 
Al momento dell’abbandono, infatti, Mon Chien ha qualche momento di puro cinema, come lo sguardo della piccola Jaqueline Lemaire sulla levetta dello sportello dell’auto ad anticipare il suo estremo tentativo di non lasciare il suo amato Pierrot. La scena in cui i suoi genitori si accorgono che la bimba è uscita dalla vettura è notevole e in generale tutta la sequenza che prepara l’abbandono del cane è organizzata con precisione mirabile. Alcuni dettagli della costruzione di Franju meritano di essere annotati: nella coppia benestante – la bella automobile, la villa d’epoca – la donna sembra avere un ruolo non secondario né passivo. E’ una bionda platino degna di un film di Hollywood, guida l’auto e fuma mentre è al volante: siamo a metà degli anni Cinquanta, è bene ricordarlo. Il marito entra in scena per il passaggio più drammatico, l’inganno ai danni del povero cane, nel quale si comporta da vero aguzzino ma quando la figlia scende disperata dall’auto è la moglie a recuperarla e a chiudere la questione. Se la donna, nella coppia, si dimostra quindi particolarmente attiva, l’uomo si segnala per la scaltrezza con cui sfila il collare al cane in modo da non renderlo più riconducibile alla famiglia. Interessante anche la scelta di Franju che, per un film di condanna dell’abbandono degli animali, dedica meno di un terzo al fatto in sé, lasciando la parte più corposa dell’opera al peregrinare del povero Pierrot. Dopo essere stato scacciato anche da una chiesa, l’anticlericalismo di Franju fa già una breve comparsata, l’animale è raccolto dall’accalappiacani e rinchiuso in una piccola gabbia del canile. Qui al regista bretone non serve molto per arrivare dove vuole arrivare e un carrello sulle gabbie con i poveri cani getta anche lo spettatore più cinico nello sconforto. Un’asettica voce narrante ci informa che i cani, qualora non vengano rapidamente reclamati dai proprietari, vengono spediti alla camera a gas o sul tavolo della vivisezione. A questo punto basta l’arrivo dell’incaricato del canile che legge le targhette, si ferma davanti alla gabbia di Pierrot e lo preleva, per farci capire il finale. La voce di Jacqueline che disperata invoca il suo cane dinnanzi alla gabbia vuota, più che uno stratagemma per strappare qualche lacrima è il doveroso riconoscimento che l’umanità non è ancora del tutto perduta.
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lunedì 2 gennaio 2023

ENIGMA FRANJU_8: A PROPOS D'UNE RIVIÈRE

1194_A PROPOS D'UNE RIVIÈREFrancia 1955; Regia di Georges Franju.

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In quello stesso 1954 una linea di navigazione gli commissiona Navigation marchande atlantique un documentario che debba fare sfoggio delle qualità tecnologiche delle moderne navi da crociera. L’impronta commerciale di questo film limita la libertà di Franju, sebbene il suo sguardo inusuale sia comunque riconoscibile ma, almeno stando a quanto riportato da Kate Ince, l’autore non riconoscerà pienamente la paternità su questo documentario (Kate Ince, Georges Franju, pag. 12).
L’anno successivo l’Istituto Nazionale delle Acque e delle Foreste commissiona a Franju A propos d’une rivière, un cortometraggio in cui fa capolino la vena animalista dell’autore pur senza raggiungere le vette de Le Sang des Bêtes. O forse sì, ma solo nella scena in cui il salmone è preso a sassate sulla testa e lasciato poi agonizzare: l’obiettivo di Franju rimane impietosamente sull’occhio del disperato animale. Ma per il resto del documentario la pesca è seguita con interesse tecnico e senza eccessiva acredine: in effetti il protagonista è un innocente ragazzino che sogna di divenire pescatore di salmoni e corona le sue ambizioni. Ma, ancora una volta, prima della fine l’autore compie una svolta inaspettata: dopo essere riuscito a trovare l’equilibrio tra la descrizione di un’attività umana tanto radicata, e di conseguenza interessante dal punto di vista tecnico, e il suo aspetto indubbiamente biasimevole, la crudeltà inflitta agli animali, Franju fa saltare il banco con la scena del tizio che si apposta nel luogo della fecondazione dei salmoni per sparare ai pesci con il fucile, unendo nella condanna per la pesca anche la caccia quando agli aspetti critici già messi in conto si aggiunga anche il comportamento vigliacco da parte dell’uomo. La triste fine del cortometraggio è dedicata ai maschi di salmone che, a quanto si dice, non riescano a fare mai ritorno a quel mare che Franju ci mostra in tetre immagini che sembrano vestite a lutto.
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domenica 1 gennaio 2023

ENIGMA FRANJU_7: LES POUSSIÈRES

1193_LES POUSSIÈRES Francia 1954; Regia di Georges Franju.

7_continua.
Un’attitudine che emerge ancora più marcatamente nel successivo Les Poussières un documentario commissionato a Franju dall’Istituto per la Sicurezza sul Lavoro. Innanzitutto, è sorprendente che già a metà degli anni Cinquanta ci fosse una simile attenzione per le polveri che, soprattutto in ambito professionale, sono il maggiore pericolo per la salute dei lavoratori. Il regista bretone, con la solita scrupolosità e precisione, puntualizza che la polvere, di per sé, è già presente in natura e quindi non si tratta unicamente di un rischio introdotto dall’attività umana. Certo, il vero problema nasce nella sfera lavorativa in quanto le ore passate dagli addetti, spesso senza protezioni, sono troppe. In ossequio al committente Franju mostra anche alcuni dispositivi di protezione, maschere e filtri ma, in proporzione, lo spazio riservato ai rischi connessi alle varie attività professionali è nettamente superiore. Ma non si tratta di uno squilibrio fazioso bensì di una scelta ponderata e legata alla effettiva esiguità della cultura della sicurezza in ambito professionale che si poteva avere negli anni Cinquanta. Perché in tema di equilibrio critico non si può che elogiare Franju per l’attenzione con cui evita di mettere sotto il suo obiettivo solo le attività industriali ma dedica spazio anche ai rischi connessi alle polveri negli ambiti dell’agricoltura e dell’artigianato. Lo sguardo del regista è infatti assente da polemiche o strumentalizzazioni: anzi, va detto che l’autore si lascia sedurre dall’operosità dei lavoratori e dalla loro perizia nonché dai meccanismi delle macchine in funzione. Dei primi si evidenzia l’abilità degli artigiani produttori di ceramica mentre nei macchinari saltano all’occhio alcune scene prese dagli impianti siderurgici già visti nel precedente En Passant par la Lorraine. Se la battaglia per la sicurezza sul lavoro sembra ardua, vedendo come la polvere è diffusa capillarmente in ogni dove, Franju chiude il suo cortometraggio con una nota ulteriormente pessimista – del resto François Truffaut lo battezzerà Georges il pessimista – chiamando in causa la polvere radioattiva. 
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