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venerdì 28 febbraio 2020

IL MAGNIFICO FUORILEGGE

528_IL MAGNIFICO FUORILEGGE (Best of the Badmen); Stati Uniti, 1951. Regia di William D. Russell.

Terzo episodio di una atipica trilogia dedicata ai fuorilegge del west (i Badmen che riecheggiano nei titoli originali) prodotta dalla RKO, Il magnifico fuorilegge vede di nuovo all’opera Robert Ryan, stavolta nei panni dell’ambiguo ma assoluto protagonista, dopo che nel precedente Gli avvoltoi era stato il cattivo di turno lasciando la vera ribalta a Randolph Scott. Qui a contendergli, almeno parzialmente, il centro della scena è Claire Trevor, in un classico ruolo che ricorda un po’ la Dallas di Ombre rosse (1939, regia di sua maestà John Ford), sebbene in questa circostanza il suo personaggio abbia una reputazione meno equivoca. Per il resto, il regista William D. Russell, organizza una storia rischiosa, utilizzando quei personaggi storici della banda Quantrill, tra gli altri i famosi fratelli James e Younger, ai quali finisce per aggregarsi Jeff Clanton (Ryan), ufficiale unionista in congedo ingiustamente condannato a morte. L’idea è che alcuni affaristi come Matthew Fowler (Robert Preston) approfittino della situazione turbolenta, venutasi a creare con la fine della Guerra Civile, per arricchirsi in modo poco pulito. Ad esempio intascando le taglie dei confederati anche se questi abbiano giurato, terminate le ostilità, fedeltà all’Unione. Che ci siano state, nella società americana del tempo, delle magagne è fuori discussione, ma tentare un qualche abbozzo di riscatto morale, anche solo parziale, per le belve del Missouri di Quantrill è una manovra azzardata anche e soprattutto in un film di puro svago come Il magnifico fuorilegge. In ogni caso Clanton, a cui Ryan dona una faccia ben poco rassicurante, li affianca, sebbene provi in qualche occasione, non senza l’indispensabile sprone di Lily (la Treivor), a smussarne un po’ l’inclinazione feroce. 

Il nostro ambiguo eroe si trova così un po’ combattuto, compiendo scorrerie e rapine al fianco di volgari criminali, in aperta lotta contro un presunto rispettabile cittadino che possiede un’agenzia che opera nella sicurezza insieme alle forze dell’ordine, ma che in realtà è corrotto. Considerato la posizione della donna che lo accompagna, che è legalmente la moglie del suo nemico, abbiamo un quadro desolante dal punto di vista istituzionale del paese e, almeno in questo, forse nemmeno troppo lontano dalla realtà. E anche vero che ci si trovava alla frontiera di una nazione uscita a dir poco lacerata dalla pesante Guerra Civile; in questo senso, rispetto alla norma, il film ci fornisce un’idea del west meno romantica e più prosaica, chissà, forse addirittura in contrasto con gli intendimenti iniziali degli autori. Comunque sia, alla fine, sconfitto il cattivo, ai nostri non rimane che cercare di rifarsi una reputazione: un lieto fine in divenire, in pratica. Ma che non convince del tutto, come in tutta onestà il film nel suo complesso. Del resto, tutta la trilogia dei Badmen poggiava su un terreno fragile: la mitizzazione della figura del fuorilegge del far west. Che non era certo esclusiva di questi film della RKO Pictures, sia chiaro: dalle tante pellicole dedicate a Jesse James, fino ad arrivare all’eroe del west per eccellenza, John Wayne che, in quello che è considerato il primo western classico, Ombre Rosse, è Ringo, un bandito. Il genere cinematografico americano per antonomasia ha sempre ammesso di avere una matrice oscura. In un paese che stava ancora costituendosi, alle prese con i detriti di un passato turbolento, cercare di sdoganare le proprie radici magari non proprio edificanti, era una pratica salutare per guardare al futuro senza lasciarsi condizionare da qualche ombra del proprio vissuto. Ma sfruttare il rancore per la sconfitta nella Guerra Civile, ancora serpeggiante in molte sacche del paese, provando a far passare per eroi quelli che erano veri e propri criminali della peggior specie, come appunto i predoni della banda Quantrill, non era e non è accettabile sotto nessun punto di vista. Ed è su questo passo che la pur godibile trilogia dei Badmen perde la sua scommessa.                









Claire Trevor



mercoledì 26 febbraio 2020

GLI AVVOLTOI

527_GLI AVVOLTOI (Return of the Bad men); Stati Uniti, 1948. Regia di Ray Enright.


Considerato spesso come una sorta di secondo capitolo della saga dei Badmen, il film Gli avvoltoi, o Return of the Bad Men in originale, è un testo che si discosta un poco dagli altri due episodi. La terra dei senza legge (regia di Tim Whelan) del 1946 aveva avuto un onorevole successo al botteghino e alla RKO Radio Pictures affidarono a Ray Enright la direzione di un film che ne sfruttasse la scia. Ad interpretare la parte del protagonista è ancora Randolph Scott, nel ruolo di Vance, classico personaggio eroico che, prima della fine, verrà chiamato a recitare il ruolo di sceriffo. Per far questo, deve posticipare la data delle nozze previste con la ancora avvenente vedova Madge (Jaqueline White) che, in un primo momento, la prende un po’ male. La traccia sentimentale, in questo western come in molti altri degli anni Quaranta, non è affatto secondaria: il buon Vance è infatti conteso dalla citata Madge, che ha già anche un vispo figlioletto, e Cheyenne (un’esuberante Anne Jeffreys), ex fuorilegge convertita sulla retta via dal nostro baldo eroe. Il rapporto tra Vance e Cheyenne è, in fin dei conti, l’unica sponda che Gli avvoltoi concede al fascino dei fuorilegge, i Bad men del titolo originale che, negli altri due film della trilogia, è invece assai più rimarcato. Nel film di Enright il protagonista è completamente positivo e non ha mai alcun tentennamento mentre nei confronti dei fuorilegge, per quanto vengano coinvolti i soliti altisonanti nomi tipici della trilogia, dai fratelli Dalton agli Younger, da Billy the Kid a Sundance Kid, non c’è alcuna benevolenza. Come detto Cheyenne è una fuorilegge (è addirittura la figlia del capobanda) e partecipa alla rapina banca, nella prima parte del film; ferita ad un braccio, è curata da Vance che la convince a costituirsi. 



Visto che ha riconsegnato il denaro, le viene risparmiato il carcere ed è affidata proprio a Vance, nel frattempo reclamato a gran voce sceriffo. Forse un po’ incautamente, tra i due gli autori imbastiscono una storia sentimentale, almeno dal punto di vista di Cheyenne: una traccia che poi è abbandonata brutalmente e in modo troppo sbrigativo con l’assassinio della povera ragazza da parte del perfido Sundance Kid (Robert Ryan). Sembra probabile che la funzione narrativa di Cheyenne fosse più che altro dimostrare come un po’ di fiducia potesse redimere anche chi si incammina sulla strada sbagliata; da un punto di vista romantico invece la situazione è approfondita in un primo momento, con il serrato confronto tra le due aspiranti al ruolo di consorte di Vance, salvo poi troncarsi, come detto, in modo del tutto gratuito. Del resto, l’attenzione alle ragioni dei banditi, i Badmen, era l’elemento distintivo della trilogia, tuttavia, come spunto per mostrare un punto di vista che tenesse maggiormente conto della prospettiva dei criminali, il ravvedimento di Cheyenne è un elemento assai blando. Sia nel citato La terra dei senza legge che nel successivo e conclusivo capitolo della trilogia, Il magnifico fuorilegge (1951, regia di William D. Russell), gli autori si erano spinti a giustificare, seppur timidamente, alcune gesta della famigerata banda Quantrill, con un approccio certamente discutibile. In Gli avvoltoi la figura del fuorilegge è, al contrario, spogliata di ogni fascino, e Enright si affida al carisma inossidabile di Randolph Scott per sorreggere la sua storia. Una scelta conservatrice, visto che Scott nemmeno stavolta dà vita ad un eroe in qualche modo tridimensionale. Ma l’attore ha, come sempre, dalla sua una vena simpatica e, in ogni caso, meglio il classico cavaliere senza macchia e senza paura alla rivalutazione in chiave in qualche modo giustificativa dei peggiori criminali che abbiano mai infestato l’America, come erano i membri della banda Quantrill. 









Jacqueline White



Anne Jeffreys





lunedì 24 febbraio 2020

LA TERRA DEI SENZA LEGGE

526_LA TERRA DEI SENZA LEGGE (Badman's Territory); Stati Uniti, 1946. Regia di Tim Whelan.

Primo episodio della cosiddetta trilogia western dei Badmen prodotta dalla RKO Pictures, La terra dei senza legge è un film dal ritmo veloce e scorrevole che si lascia guardare con piacere. Al centro della scena Randolph Scott nei panni di Mark Rowley, uno sceriffo che, nei turbolenti anni del wild west, finisce per errore sulla lista dei cattivi e rischia addirittura la forca. In extremis il nostro baldo eroe se la cava, del resto Scott era una garanzia in questo senso, e il lieto fine lo vede convolare a nozze con la bella Henryetta (Ann Richards) una giornalista che nel corso del film gli dà anche del filo da torcere. Ma non è certo nella stucchevole storiella sentimentale che La terra dei senza legge ha i suoi motivi d’interesse. Detto del ritmo narrativo, della storia raccontata in modo brusco e sbrigativo ma che, alla lunga, finisce per funzionare per bene anche per il suo essere essenziale, ci sono aspetti che lasciano incuriositi e altri perfino perplessi. Innanzitutto, in avvio la storia è ambientata per mezzo di una mappa che ci riporta l’anomala situazione politica che si verificò negli Stati Uniti nella seconda metà del 1800. In tempi precedenti, il Texas aveva chiesto l’annessione all’Unione ma, non volendo rinunciare alla schiavitù, ed essendo questa proibita a nord della latitudine 36° 30’ (dal Compromesso del Missouri) preferì cedere la fetta di territorio a settentrione di quel parallelo, che divenne così noto come ‘striscia di terra pubblica’ o anche ‘terra di nessuno’ (No man’s land). Dal 1850 per quarant’anni quest’area fu un pratico rifugio di quei fuorilegge che scorazzavano per il Territorio Indiano, fino al 1890, quando il Panhandle (‘manico di padella’, altro nomignolo della striscia di terra, dovuta alla sua forma allungata) venne annesso all’Oklahoma. 

Queste informazioni sembrano marginali, ma vanno considerate perché diversamente il film di Whelan potrebbe essere accusato di eccessiva fantasia, mentre una stramberia come un territorio abitato ma libero da istituzioni nazionali fu un fatto storico negli Stati Uniti che quasi si affacciavano al XX secolo. In questo senso, soprattutto nell’incipit che, cartine alla mano, certifica l’attendibilità dei presupposti del narrato successivo, La terra dei senza legge è un prodotto interessante e che desta una certa curiosità per quella situazione. Più perplessi lasciano invece altri passaggi, come la definizione di ‘incidenti’ per i fatti del Missouri che coinvolsero i fratelli Jesse e Frank James. 

In realtà i fratelli James ai tempi del Missouri furono nelle squadre irregolari guidate da Quantrill al fianco dei sudisti durante la Guerra Civile, dove si resero protagonisti di alcune azioni infamanti disconosciute perfino dagli stessi confederati. E’ lodevole l’intenzione della pellicola di rimarcare quanto fosse labile il confine tra stare dalla parte dei buoni o quella dei cattivi, in un territorio come il west, selvaggio e poco disciplinato da norme o codici. Si tratta di un concetto valido in generale, anche senza raggiungere gli eccessi assoluti della No man’s land, che può giusto valere come esempio eclatante. Tutto il paese, soprattutto nei luoghi meno civilizzati, risentì dell’eco dell’odio e della violenza esplosi quasi senza precedenti durante la Guerra Civile e, quindi, situazioni poco lineari erano all’ordine del giorno. Lo sceriffo che viene accusato di essere un bandito ne La terra dei senza legge è perciò un buon esempio di quello che poteva capitare a quei tempi, dove finivi appeso ad un albero senza troppi giri di parole. La frontiera americana dell’epoca è famosa ancor oggi per la sua turbolenza e questi episodi sono facilmente accettabili così come lo è il fatto di utilizzare la fama romantica dei fuorilegge, come i James, i Dalton, o perfino Belle Starr (nel film, una deliziosa Isabell Jewell) ma questo non deve deresponsabilizzarli dai crimini accertati da loro commessi. Perché diversamente si rischia di minare la credibilità del cinema: il cinema è finzione, d’accordo, ma il suo essere dannatamente credibile, se è un innegabile punto di forza, diventa al contempo anche un preciso elemento di responsabilità. La maggior parte degli outlaws del far west erano banali poco di buono, questo è praticamente certo, ma è anche vero che, in genere, le loro gesta non proprio edificanti se raccontare nei film diventano affascinanti. E fin qui nulla da eccepire. Mai lo possono diventare i massacri che storicamente commisero i membri della famigerata banda Quantrill.    





Ann Richards


Isabel Jewell