lunedì 15 dicembre 2025

IL COMMISSARIO DE VINCENZI - L'ALBERGO DELLE TRE ROSE

1769_L'ALBERGO DELLE TRE ROSE , Italia 1974. Regia di Mario Ferrero 

Certamente la questione ebraica, con l’ignominia delle Leggi Razziali del 1938, rimane una delle macchie più vergognose del regime fascista ma c’era almeno un altro aspetto simile che lasciò pesanti strascichi nel tempo e nell’opinione pubblica nazionale: la scarsa stima, mettiamola così, per la «perfida Albione». Questo elemento venne successivamente superato, nel secondo dopoguerra, ma in qualche «piega» della quotidianità, ad esempio in qualche ambito delle rivalità nazionali, tornerà spesso a fare capolino. Il giallo, genere anglosassone per eccellenza, fu in questo senso una cartina tornasole: emblematiche le parole del commissario Alzani (Renato De Carmine) nella serie Aprite: Polizia! che, nel 1958, sosteneva che “la delinquenza non latina è sempre più crudele, più cinica”. Una quindicina d’anni dopo, il commissario De Vincenzi stigmatizzerà queste tendenze ideologiche nel finale del secondo episodio della serie di sceneggiati a lui dedicati. L’albergo delle tre rose, l’episodio in questione, è giunto al termine, e le rivelazioni finali hanno fatto un po’ di chiarezza nell’intricata vicenda sviluppatasi all’interno dell’hotel milanese a cui fa riferimento il titolo. Ma il giornale che capita sotto mano a De Vincenzi è del giorno prima, e il poliziotto finge di compiacersi con il suo vice Sani (Franco Ferri), di essere finito, con le indagini, in prima pagina. Il riferimento è al titolo dell’articolo del quotidiano che, a proposito del caso dell’albergo delle tre rose, afferma che sia vittima che probabile assassino siano «inglesi», con le virgolette a sottolineare la provenienza di questi turbolenti ospiti dell’albergo. Sani –come del resto l’altro funzionario di polizia presente nei racconti, il commissario Bianchi (Giampiero Becherelli)– è ingenuamente convinto dell’ideologia imperante, e lo sottolinea convintamente. Sibillina la replica di De Vincenzi che puntualizza che i soggetti implicati nel giallo, i presunti «inglesi», siano in realtà italianissimi: Al Miretti (Pino Colizzi) è un italiano emigrato in America per fare il gangster, e Mary Alton Vendramin (Anna Maria Guarnieri) ha semplicemente sposato un suddito di sua maestà. E per ricordare come gli italiani possano vantare antenati altrettanto illustri in materia di crimini, cita Lucrezia Borgia. Da un punto di vista della confezione formale, L’albergo delle tre rose conferma le impressioni de Il candelabro a sette fiamme: ben costruito e ben recitato, si lascia seguire con piacere. Il meccanismo deduttivo non è però perfettamente funzionale o almeno non lo è secondo gli abituali criteri: è infatti assai arduo seguire le complicate peripezie della trama gialla e addirittura impossibile anticipare o quantomeno carpire per tempo le intuizioni del commissario De Vincenzi. Allo spettatore non resta che seguire passivamente lo svolgersi degli eventi che hanno comunque il pregio di appassionarlo e incuriosirlo man mano che si dipanano.  


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