1769_L'ALBERGO DELLE TRE ROSE , Italia 1974. Regia di Mario Ferrero
Certamente
la questione ebraica, con l’ignominia delle Leggi Razziali del 1938, rimane una
delle macchie più vergognose del regime fascista ma c’era almeno un altro
aspetto simile che lasciò pesanti strascichi nel tempo e nell’opinione pubblica
nazionale: la scarsa stima, mettiamola così, per la «perfida Albione». Questo elemento
venne successivamente superato, nel secondo dopoguerra, ma in qualche «piega»
della quotidianità, ad esempio in qualche ambito delle rivalità nazionali, tornerà
spesso a fare capolino. Il giallo, genere anglosassone per eccellenza, fu in
questo senso una cartina tornasole: emblematiche le parole del commissario
Alzani (Renato De Carmine) nella serie Aprite: Polizia! che, nel 1958, sosteneva
che “la delinquenza non latina è sempre più crudele, più cinica”. Una
quindicina d’anni dopo, il commissario De Vincenzi stigmatizzerà queste
tendenze ideologiche nel finale del secondo episodio della serie di sceneggiati
a lui dedicati. L’albergo delle tre rose, l’episodio in questione, è
giunto al termine, e le rivelazioni finali hanno fatto un po’ di chiarezza
nell’intricata vicenda sviluppatasi all’interno dell’hotel milanese a cui fa
riferimento il titolo. Ma il giornale che capita sotto mano a De Vincenzi è del
giorno prima, e il poliziotto finge di compiacersi con il suo vice Sani (Franco
Ferri), di essere finito, con le indagini, in prima pagina. Il riferimento è al
titolo dell’articolo del quotidiano che, a proposito del caso dell’albergo
delle tre rose, afferma che sia vittima che probabile assassino siano «inglesi»,
con le virgolette a sottolineare la provenienza di questi turbolenti ospiti
dell’albergo. Sani –come del resto l’altro funzionario di polizia presente nei
racconti, il commissario Bianchi (Giampiero Becherelli)– è ingenuamente
convinto dell’ideologia imperante, e lo sottolinea convintamente. Sibillina la
replica di De Vincenzi che puntualizza che i soggetti implicati nel giallo, i
presunti «inglesi», siano in realtà italianissimi: Al Miretti (Pino Colizzi) è
un italiano emigrato in America per fare il gangster, e Mary Alton Vendramin
(Anna Maria Guarnieri) ha semplicemente sposato un suddito di sua maestà. E per
ricordare come gli italiani possano vantare antenati altrettanto illustri in
materia di crimini, cita Lucrezia Borgia. Da un punto di vista della confezione
formale, L’albergo delle tre rose conferma le impressioni de Il candelabro a
sette fiamme: ben costruito e ben recitato, si lascia seguire con piacere. Il
meccanismo deduttivo non è però perfettamente funzionale o almeno non lo è
secondo gli abituali criteri: è infatti assai arduo seguire le complicate
peripezie della trama gialla e addirittura impossibile anticipare o quantomeno carpire
per tempo le intuizioni del commissario De Vincenzi. Allo spettatore non resta
che seguire passivamente lo svolgersi degli eventi che hanno comunque il pregio
di appassionarlo e incuriosirlo man mano che si dipanano.

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